lunedì 23 settembre 2013
Quando attraversi le porte che separano il mondo dei vivi da quello dei morti. Devi essere sicura di poter tornare indietro...
Eccomi ancora qui, in balia del mio umore
ballerino e come per la musica anche le mie letture variano secondo l’umore del
momento e considerato il mio amore viscerale per i libri mi lascio trascinare
da questa corrente che varia come il vento, dai saggi ai classici, alle poesie,
passando per la narrativa d’autore nazionale e straniera e ogni tanto la mia
mente si lascia cullare dalle fantastiche avventure con personaggi da sogno e
come membro del gentil sesso, non posso che lasciarmi travolgere dagli amori
impossibili che a volte meritano un pizzico di brivido, per non colorare il
panorama completamente di rosa. Considerando che il mio sogno segreto è
trovarmi in una immensa e misteriosa biblioteca e possedere il pass per la
libera esplorazione, per poter andare a caccia di libri sconosciuti che non
aspettano altro che di essere letti, non potete certo biasimarmi per essere un
cocktail di lettura e oggi vi servo una storia fantastica, con un pizzico di
brivido e qualche spruzzo di rosa, ed ecco: “La maledizione di Ondine”, della giovane scrittrice italiana Valentina Barbieri, che ha fatto il suo
esordio attraverso una fantastica autopubblicazione, e la sua prima opera è un
racconto intitolato “Arèl”, che ha pubblicato nell’Almanacco Fantasy di Lettere Animate.
Recensione
Un’autopubblicazione per un libro che
ha entusiasmato il web e fatto parlare decine di blogger entusiasmando i lettori
del genere Urban fantasy. Tanto che quando la curiosità è sopraggiunta spinta
da una delicata folata di vento che ha riempito l'aria con il suo inebriante profumo, scuotendo i miei sensi da appassionata lettrice, non potevo fare altro che ritrovarmi inevitabilmente a leggere questo
libro, che mi ha letteralmente spiazzato.
Beh! Magari vi chiederete, come mai?
La risposta è semplice, non è ciò che
mi aspettavo. Infatti, credevo di trovarmi di fronte la classica storia da
Urban Fantasy, con il grande amore con un bello ma dannato, invece questa
giovane scrittrice a concesso all’amore un ruolo secondario e con una scrittura
limpida e fluente come un ruscello in primavera, ma allo stesso tempo molto
coinvolgente, infatti è riuscita a toccare le mie note dolenti e mi sono
ritrovata a rivivere una scena di uno dei film più terrificanti di tutti i
tempi “L’esorcista”, che dopo 40 anni dall’uscita, ho avuto la felice idea di
andare a vedere al cinema, praticamente un grosso sbaglio da parte mia e
Valentina Barbieri ha riconfermato questa mia idea, dato che è riuscita a farmi
sentire la tensione del momento, però in modo elegante, senza andare fuori dagli
schemi letterari.
...La porta di
ingresso è aperta ed entriamo in un vano scale spoglio e grigio. “Cosa devo aspettarmi? Una contorsionista
che vomita dappertutto” Benjamin non coglie il sarcasmo e mi guarda quasi
scocciato della mia presenza. Scommetto che si stia pentendo di avermi portato.
“Aspettati la tentazione del Male. E
rimani in disparte.”... La donna indossa un vestito nero di lana
infeltrita. Abbraccia Benjamin e inizia a piangere disperata. “Sono giorni che non mangia. Sono stata
costretta a tagliarle i capelli perché se li strappava e si cibava di quelli.” “È un giorno particolare. La Resurrezione di
Cristo sarà solo domani. Oggi il mondo è stato senza Salvezza.” Mi
trattengo dallo sbuffare, annichilita dalla desolazione della signora Collins e
dalle urla che sento provenire dal fondo del corridoio. Paiono risate isteriche. “Ho dovuto legarla al letto...” ... Rimango
sulla soglia a fissare la ragazza sdraiata sul letto sporco, legata ai polsi
con due stracci sino alla testata di ferro battuto del letto. La sua magrezza
traspare dal pigiama scuro e i suoi occhi infossati mi inquietano. I capelli
corti sono strappati in più zone, lasciando intravedere la pelle crostosa del
cranio. “Buongiorno Ben, ti sei portato
anche la tua puttanella?”...
Infatti La maledizione di Ondine, nonostante l’elettrizzante emozione da
brivido lungo la schiena, rimane un Urban fantasy, che vede come protagonista
una giovane ragazza universitaria italoinglese, di nome Ondine che sin dalla
nascita ha manifestato un particolare potere sentivo, che le permette di
entrare in contatto con le anime o inconsci quando abbassa il suo respiro durante
il sonno entrando in quella condizione che la scienza medica chiama Ipoventilazione
alveolare primitiva o semplicemente “Sindrome di Ondine”, che la trasporta all’interno
di un’altra dimensione dove si trova il passaggio tra questo e l'altro mondo e qui che gli inconsci che non hanno pace
sono bloccati o cercano di entrare con la forza nel mondo reale diventando violenti e pericolosi. Durante la
ricerca di se stessa, Ondine entra in contatto con altre persone che
manifestano i suoi stessi poteri e grazie a sua nonna scopre la natura e l’origine
del suo potere e di quelli dei suoi simili, che derivano dai cavalieri dell’apocalisse
e hanno il compito di proteggere i portali di passaggio tra questa realtà e quella
degli inconsci e dare la liberazione con una seconda morte agli inconsci
violenti e malvagi. Questo compito è portato avanti da coloro che possiedono i
poteri dei cavalieri ovvero i Guardiani che fino a qualche tempo fa erano uniti
in una congregazione, a cui appartenevano anche i suoi antenati.
... i Guardiani
rappresentano gli Angeli dell’Apocalisse. Alla mancanza del gusto corrisponde
il Cavaliere Bianco, un arciere, simbolo della Resurrezione. Il suo compito è
quello di riportare le anime sul loro giusto cammino. Alla mancanza del tatto
collegava il Cavaliere Nero, simbolo della Carestia e con una bilancia in mano:
a lui è concesso il dono di individuare l’avidità delle anime umane. ... Per
l’anosmia... Il Cavaliere Rosso. Simbolo della Guerra e delle Armi. Il suo
compito è quello di combattere i demoni. ... alla mancanza della vista coincide il Quarto
Cavaliere, la Morte. Vestito di verde, rappresenta la Pestilenza. Il suo
compito è quello di riportare alla morte le anime perdute... Non esistono Guardiani senza udito. In principio fu il Verbo. La prima cosa
creata da Dio fu il suono. Il Creatore non può togliere l’udito ai Guardiani.
...
Una storia avvincente che ti trascina in spietate lotte e battaglie
interiori degne di un mondo surreale dove le ferite e la morte sono una realtà
non un sogno e così con grandi colpi di scena, in uno scenario che viaggia dall’Italia
all’Inghilterra fino a Praga dove avviene la ricerca dell’ultimo discendente
della potente famiglia che si trova a capo della congregazione di Guardiani i
Novacek, Lysandra, che li trascinerà
fino in Romania nel misterioso castello di Iulia Hasdeu, dove si annida il
più terribile dei mali, l’anima dannata della più grande assassina di tutti i
secoli la contessa sanguinaria Erzsébet
Báthory, che tiene incatenata l’anima pura della giovane Iulia e del suo
amato padre.
... “Il nido di Hasdeu è governato da Erzébeth
Báthory, la leggendaria contessa sanguinaria che seviziò e uccise centinaia di
giovani. Avrei scommesso che un Dogmatico sarebbe stato il primo a voler liberare
tutte le sue vittime...”
Una storia curiosa e affascinante che
si intreccia tra finzione e realtà intorno al misterioso castello ricco di
profondo simbolismo, fatto costruire da Bogdan Petriceicu Hasdeu in memoria
dell’amatissima figlia Iulia morta prematuramente e intorno alla sanguinaria
contessa che si vocifera abbia ucciso circa 600 persone.
Un romanzo che rivela una buona ricerca
storica e scientifica oltre alla bravura di catturare il lettore trascinandolo
su una scacchiera dove si trova intrappolato in un potente scacco matto.
Beh! Una
lettura elettrizzante che di sicuro non annoierà i suoi lettori.
Consigliata? Sicuramente
si, a tutti gli appassionati lettori che si sentono pronti a farsi avanti e lasciarsi
catturare dalla ipnotica voce di un’ondina di nome Valentina Barbieri.
L’ appassionante storia di una grande famiglia, tra amori, luci e ombre, gioie e dolori, successi e fallimenti, nella cornice di un ambiente tanto insolito quanto affascinante e poco conosciuto: quello del corallo, il pregiato e misterioso materiale che nasce dal mare.
Good Morning amici di lettura,
il caffè è servito, insieme alle pagine
dell’ultimo libro di una delle scrittrici più apprezzate della narrativa Sveva
Casati Modigliani, che con Palazzo Sogliano, ci accompagnerà durante il risveglio
con la storia di Orsola e Edoardo, un’amore intenso nato al primo sguardo, ma
che nasconde un segreto che Orsola scopre con sgomento la sera che il suo
adorato marito muore. La storia di una famiglia, di un amore sincero velato da un inconfessabile segreto, gli ingredienti giusti per
addolcire e energizzare il nostro caffè insieme alla nostra giornata.
Un libro adatto al lunedì?
Lascio a voi il giudizio, sorseggiando insieme al vostro caffè le pagine
di Palazzo Sogliano, che saprà trovare le parole giuste per intrattenervi e
dare una marcia in più a questa prima settimana d'autunno.
SAVERIO bussò più volte alla porta senza avere risposta. Allora
schiuse il battente ed entrò nella stanza immersa nella penombra. La luce del
mattino filtrava dalle persiane e una lama di sole rischiarava la camera
matrimoniale. Il soffice tappeto francese su cui il giovane camminò gli
consentì di accostarsi al letto della madre senza far rumore. La donna dormiva
profondamente. Saverio si chinò su di lei e sussurrò: “Mamma”. Orsola increspò per un attimo le labbra ma non reagì. “Mamma”, ripeté con voce più decisa. Lei
apri gli occhi. Suo figlio le accarezzo la fronte e le sedette accanto sul
bordo del letto. Orsola avrebbe voluto riacciuffare il sonno e mettere una
barriera tra sé e la realtà. “Mammina,
devi alzarti. Sono già iniziate le visite”, la sollecitò con voce suadente.
“Non mi importa. Voglio essere lasciata in pace”, farfugliò Orsola. “Stai di nuovo male? Devo chiamare
richiamare il dottore?” si preoccupò lui perché la sera prima Orsola era
svenuta. Sergio De Santis, d vent’anni il medico di famiglia, chiamato d’urgenza,
le aveva misurato la pressione del sangue e somministrato immediatamente un
farmaco per abbassarla, scongiurando così rischi più seri. Poi, le aveva praticato
un’iniezione che l’aveva spedita nel mondo dei sogni, mentre le diceva: “La morte di tuo marito non ha colpito
soltanto te, ma tutta la famiglia. Sei sempre stata una donna forte, fatti
coraggio perché tutti hanno bisogno dl tuo aiuto”. Se n’era andato
raccomandando di lasciarla riposare il più a lungo possibile. Adesso Orsola
avrebbe continuato a dormire se il figlio maggiore non l’avesse svegliata
riportandola a una realtà che era molto simile a un incubo. “Starò malissimo, se non te ne vai”,
disse ora con tono lamentoso. Saverio emise un sospiro rassegnato, si alzò e
concluse: “Va bene. Mi inventerò qualcosa”.
La baciò su una guancia e uscì dalla camera. Orsola si sentì invadere da un’ondata
di angoscia che le serrò la gola. Non avrebbe riservato, in rapida successione,
due prove tanto difficili e dolorose: la prima, la perdita improvvisa del
marito, morto in un incidente d’auto e, subito dopo, la scoperta casuale di un
segreto inquietante. Pensò alla folla di parenti e amici che l’aspettavano al
piano di sotto. Non poteva affrontare abbracci, le strette di mano, le parole
di conforto, gli sguardi carichi di pena, perché la sua pena andava oltre il
lutto che l’aveva colpita. Poco dopo la porta della camera tornò a schiudersi e
sulla soglia si profilò la figura esile di Margherita, sua suocera. “Posso entrare?” domandò con un filo di
voce. Orsola accese la lampada sul comodino, si sollevò a sedere sul letto e
rispose: “Venite, mammà, sedetevi accanto
a me”. “Come stai figliola?” domandò l’anziana signora. Margherita Sogliano
era la suocera che ogni donna vorrebbe avere. Dolce, generosa, collaborativa,
mai invadente, aveva fatto in modo che Orsola, entrando in casa Sogliano, si
sentisse subito a proprio agio. Aveva capito che non era semplice, per una
ventenne che veniva dal nord, figlia di un ciabattino, adeguarsi agli usi della
famiglia e della gente di Torre del Greco. La suocera, più di Edoardo, l’aveva
tenuta per mano guidando i suoi passi nel mondo affascinante dei corallari. I
Sogliano erano ricchi, la loro fortuna risaliva ai primi decennio dell’Ottocento.
Non appartenevano all’aristocrazia di sangue, ma a quella del corallo. Infatti
il mercato mondiale del prezioso materiale rosso pescato dal mare era nelle
loro mani e in quelle di poche altre famiglie che da duecento anni vivevano e
lavoravano nella piccola città abbarbicata alle pendici del Vesuvio. Erano
armatori, pescatori, procacciatori d’affari, artigiani dotati di fantasia e
straordinario talento artistico e si definivano semplicemente corallari.
Risiedevano in grandi ville e antichi palazzi che erano anche sede delle loro
aziende. Oltre le stanze, i saloni di rappresentanza, i salotti, c’erano i
magazzini, i laboratori, gli uffici animati dall’alba al tramonto da un
incessante brusio di voci, dal rumore dei macchinari, dai pianti e dalle risate
dei bambini, dalle canzoni d’amore cantate dalle operaie. E quando padroni e
operai consumavano il pranzo, si intrecciavano confidenze appena sussurrate e l’aroma
del caffè sovrastava l’odore intenso di salsedine del corallo che non svaniva
neppure dopo che i rami erano stati lavati e rilavati, sgrossati, tagliati e
lucidati. Il corallo racchiude in sé il fascino del mare e il mistero di una
natura in bilico tra il regno minerale, vegetale e animale. ... Ora, a
Margherita che le chiedeva come stesse, rispose: “Piuttosto dovrei essere io a chiedervi come state”. Orsola prese
la sua mano e la tenne stretta. “Dio dà,
Dio toglie”, sussurrò la suocera, con un sospiro carico di tristezza.
Orsola avrebbe voluto replicare che lei aveva una pena in più, ma non voleva
aggiungere al dolore di quella madre un altro dispiacere. “Tra poco lo riporteranno a casa e, fino a domani, sarà ancora nostro”,
proseguì Margherita. E soggiunse: “Ora
dovresti alzarti e affrontare la situazione. Ti farà bene, perché il dolore ha
bisogno di coralità per diventare sopportabile”. Orsola osservò quel viso segnato dagli anni,
gli occhi chiari velati di lacrime, le labbra sottili piegate dalla sofferenza
e, di slancio, l’abbracciò. Si strinse a lei e le confidò: “Non riesco ad affrontare gli amici e i parenti, ho bisogno di stare
ancora da sola”. “Tuo marito non c’è più, avrai tanto tempo per la solitudine”,
disse Margherita sciogliendosi dalle braccia della nuora. “Adesso dovrai fare la tua parte in famiglia e nella nostra comunità.
Sei la signora Sogliano, ricordalo”, la esortò con dolcezza. Orsola pensò
che proprio perché era la signora Sogliano non poteva presentarsi agli ospiti
poiché era troppo sconcertata e turbata da quello che aveva scoperto la sera in
cui suo marito era morto. “Vestiti e
scendi”, le ingiunse Margherita sul punto di uscire dalla camera. Rimasta
sola, Orsola si alzò e si infilò nella stanza da bagno. La luce intensa del
giorno irrompeva dalla portafinestra che dava sul giardino e per un attimo, l’accecò.
Si chinò sul lavabo, apri il rubinetto dell’acqua fredda e si sciacquò il viso.
Poi si asciugò, si sfilò la camicia da notte ed entrò nella cabina della
doccia, lasciò che i getti caldi dell’acqua le sferzassero il capo mentre ripensava
a quanto era accaduto la sera precedente...