Ecco le novità da non perdere e il successo di "Vita dopo vita" che come sottolinea l'Espresso:«La nostra eroina muore e rinasce innumerevoli volte; e il lettore la segue in un crescendo di suspense che sta la fantascienza e il miglior realismo magico. Un romanzo così non si era mai visto.»
La Porta dei cieli, il thriller archeologico protagonista del Blog Tour ancora in corso; Il successo dell'horror "William Killed The Radio Star" uno sfondo musicale dalla intricata indagine psicologica e le attese novità legate ai concorsi della Dunwich.
Ecco i romanzi candidati a entrare nell'immortale albo d'oro del Premio. Il favorito è "Non dirmi che hai paura" vincitore del Premio Strega Giovani. Alla finale del 3 Luglio ha vinto il prezioso elisir Francesco Piccolo con "Il desiderio di essere come tutti".
Ecco le fresche letture che hanno attirato la mia attenzione. Da un Amore Alieno a Per sempre insieme,dalla passione di Così come sei al distopico fantasy Mystic city, ma un Eccezione serve sempre quindi non perdetevi l'eccezionale caos di sentimenti scritta dall'islandese Audur...
E al 3°
appuntamento con il meraviglioso mondo di Covers
& Songs, la speciale
rubrica ideata da “la bacheca dei libri”, che con un tour di 8
appuntamenti settimanali, alla fine, premia i suoi partecipanti con “un Libro
& un CD” a scelta del
fortunato, estratto attraverso Rnadom.org. Lo scopo di Covers & Songs è quello
di divertirci a trovare una personale colonna sonora ai romanzi e alle loro
belle books covers, che verranno presentate. La scorsa settimana, vi ho
presentato:
The Offeringdi Kimberly Derting
Raven Boysdi Maggie Stiefvater
Il sacrificio - I regni di
NASHIRA di Licia Troisi
Per questi
romanzi e le loro splendide books covers sono state presentate le meravigliose
(songs) musiche di:
Ludovico Einaudi - divenire - The Offering-
Enya - Orinoco Flow - Raven boys
Christina Aguilera- We Remain - Il sacrificio - I regni di NASHIRA
Questa
settimana, ho deciso di presentarvi in anteprima alcuni interessanti romanzi ,
con delle books covers che si lasciano notare. Iniziamo da un libro in lingua
inglese, di un’autrice davvero molto brava e apprezzata, che si chiama Anne Fortier.
In Italia la Sperling & Kupfer
ha pubblicato il romanzo La chiave del tempo, che nella versione originale
ha il titolo di Juliet,
una strepitosa rivisitazione della romantica storia di Romeo e Giulietta.
Anne Fortier è cresciuta in Danimarca, ma si è trasferita
negli Stati Uniti nel 2002. Ha conseguito un dottorato di ricerca in storia
delle idee. È stata la vincitrice di un Emmy per il documentario Fuoco e
Ghiaccio: La Guerra
d'Inverno di Finlandia e Russia (2005). Il suo primo romanzo in inglese, Juliet
(2010), è stata pubblicata in oltre 30 paesi ed è diventato un bestseller del
New York Times. Il suo prossimo libro è quello che vi presento e uscirà giorno
11 marzo 2014, con il titolo The Lost Sisterhood.
Questo nuovo
romanzo ha un risvolto storico emozionante che cambierà per sempre la nostra
comprensione di uno dei più grandi miti , quello delle Amazzoni. Con grande
"Audacia Immaginativa”, Anne Fortier ci accompagna in un viaggio
affascinante che dalle aule di Oxford ci porta alle rovine di Troia, attraverso
un misterioso diario che apre la strada a una storia affascinante. The Lost Sisterhood, trasporta due sorelle molto
intelligenti e forti dal presente al passato in una storia che lascerà un segno
nei suoi lettori.
Sinossi:
The Lost Sosterhood, racconta la storia di Diana, una giovane – un po’
senza meta - aspirante professore di Oxford. Il suo grande interesse per la
storia delle Amazzoni, le mitiche donne guerriere della Grecia antica , è
profondamente connessa con la storia della sua famiglia . Quando Diana viene
inviata a consultare uno scavo archeologico , si rende conto che proprio lì,
potrebbe finalmente esserci la prova che le Amazzoni sono realmente esistite .
La "vera " storia delle
Amazzoni prende vita attraverso una moderna Diana, che intraprende con il suo
misterioso datore di lavoro una caccia. Questo retroscena telecomandato, si
concentra su un gruppo di donne, ma in particolare su due sorelle , la cui
lotta per la sopravvivenza ci porta attraverso la Grecia antica e di Troia ,
dove il romanzo reinventa una nuova prospettiva della famosa guerra di Troia .
The Lost Sisterhood presenta un cast di
iconiche , personaggi leggendari e un'altra grande avventura da un maestro
narratore . Anne Fortier offre una nuova storia, fresca per i suoi lettori, che
rimarranno incantati dalla sua lettura.
Il prossimo romanzo è tutto italiano e
come il precedente è un anteprima, infatti uscirà
giorno 11 marzo 2014 nelle librerie italiane. L’autrice è Valentina Fontana, una giovane
promessa, infatti è stata sostenuta dalla Mondadori che ha incluso questo suo
primo romanzo “L’ultimo
sogno” nella collana Chrysalide,
dedicata ai fantasy.
Sinossi: Esiste un mondo dove ogni cosa è
possibile: viaggiare in paesi lontani, vivere i ricordi di persone sconosciute,
camminare per le strade di città mai viste e perfino uccidere. Basta un casco
per immergersi nella realtà che connette tutte le menti nell'interconscio, il
grande spazio virtuale in cui ogni esperienza è a portata di mano, più vivida
di un sogno. Il suo nome è Onyricon. Ma c'è chi nella rete si perde, come Miri,
che per gioco è rimasta intrappolata in X-Stream, un social network pirata
controllato da un pericoloso hacker. Alex, dotata di una rara immunità ai virus
informatici, dovrà scendere nell'inferno di X-Stream, in cui i sogni si
trasformano in paure e morire non è più soltanto una finzione. Bastian è
l'unico che può aiutarla. Un tempo le ha spezzato il cuore, ora la vita di Miri
e degli oniro dipendenti perduti nel network è nelle sue mani.
Il prossimo romanzo, ormai è quasi su
tutti i blog letterari e anche la sua book cover ha fatto chiacchierare gli
appassionati, quindi credo che meriti una adeguata song, parlo di “La cacciatrice
di fate” della scrittrice americana Elizabeth May, che ho avuto modo di apprezzare grazie alla bella
intervista rilasciata al blog Coffee
& Books (se siete interessati all’intervista ecco il link: http://coffeeandbooksgirl.blogspot.it/2014/02/coffee-compie-2-anni-intervista-giveaway.html )
Ecco la bella book cover e la sinossi.
Sinossi:
Edimburgo, 1844. La giovane Lady Aileana, figlia del marchese di
Douglas, nasconde un segreto. Di giorno è una perfetta gentildonna alle prese
con gioielli, vestiti e feste scintillanti. Di notte è una spietata cacciatrice
di fate. Da quando sua madre è morta per mano di una creatura soprannaturale,
Aileana ha giurato vendetta e ha iniziato a combattere le fate insieme con
l’affascinante folletto rinnegato Kiaran. Ed è proprio grazie a Kiaran che la
ragazza scopre lo straordinario destino che la attende: lei è l’ultima
cacciatrice, l’unica in grado di proteggere gli uomini la notte in cui tutte le
fate si risveglieranno: la notte del solstizio d’inverno.
Allora ecco a voi i 3 romanzi e le loro splendide books covers che questa settimana, hanno bisogno della vostra colonna
sonora.
The Lost Sisterhood di Anne Fortier
L’ultimo sogno di Valentina Fontana
La cacciatrice di fate di Elizabeth May
Partecipate a questa speciale rubrica, divertitevi a trovate la vostra speciale song per queste covers e guadagnatevi il biglietto d'entrata a questo meraviglioso mondo e alla speciale estrazione grazie alla quale potrete vincere Un libro + Un CD. Per questo appuntamento è tutto e ora
non mi resta che augurarvi...
Gli uomini credono così ottusamente nelle
tradizioni, e sono talmente pronti a riverire ciò che è antico, e a
giustificarne la permanenza con un’osservanza di lungo corso, che finanche la
schiavitù, il peggiore di tutti i mali, in quanto tramandata di padre in figlio,
viene preservata e considerata sacra. Ma è giusta, o può regger l’urto di una
discussione razionale, l’idea che un individuo composto e costituito, come ogni
altro uomo, di elementi tumultuosi, e nel cui petto lussuria e follia si mescolano
nella medesima e ampia misura in cui sono presenti nello schiavo che egli
comanda, sia despota assoluto e possa reputarsi l’unico uomo libero della sua
terra?
William
Cowper
Libri da Oscar
Benvenuti tra le mie pagine...
Eccoci di nuovo qui, per tirare le somme
sul libro e sulla pellicola cinematografica, che ha conquistato l'ambita statuetta chiamata Oscar.
Come saprete, il film e quindi il libro, che
ha conquistato il titolo supremo come miglior film del
2014, è stato 12 Anni schiavo, diretto dal regista Steve
McQueen.
Questo romanzo è un’incredibile storia
vera, che racconta una delle pagine buie della storia americana, la terribile
tratta degli schiavi e l’incredibile brutalità e sofferenza a cui sono stati
costretti. La storia è quella racchiusa nella raccolta di memorie del
protagonista, Solomon Northup.
Sinossi: Solomon Northup, un uomo nato libero, fu rapito a
Washington nel 1841, e fatto schiavo per dodici, interminabili anni. In queste
memorie, pubblicate per la prima volta nel 1853, troviamo tutta la sua storia:
mentre si trovava a Washington con due sconosciuti che gli avevano proposto un
ingaggio come violinista, venne assalito nel cuore della notte, drogato, legato
e trascinato al mercato degli schiavi. Lì fu subito minacciato: se avesse
rivelato di essere nato libero, sarebbe stato ucciso. Iniziarono così dodici
anni di schiavitù, di violenze, brutalità e sofferenze senza fine. Solomon capì
che gli schiavi valevano meno del bestiame: potevano essere picchiati,
costretti a lavori massacranti, potevano morire nella completa indifferenza.
Lui stesso venne assalito con un’ascia, minacciato di morte, fu costretto a
uccidere per salvarsi. Poté vivere sulla sua pelle una delle pagine più nere
della storia d’America, la piaga nascosta dietro la splendente vetrina del
Paese che cresceva e abbatteva ogni confine. Poi, al culmine della
disperazione, Northup incontrò un bianco completamente diverso dagli altri. A
lui Solomon affidò una lettera indirizzata a sua moglie e da quel momento tutto
cambiò.
Per voi il 1° capitolo di queste memorie, dove si narra ciò che nel film non c’è.
Chi era Solomon Northup prima di essere catturato e venduto come schiavo, come e
perché era un uomo libero.
Poiché la mia è la storia
di un uomo nato in libertà, che poté godere dei benefici di tale condizione per
trent’anni in uno Stato libero e che fu poi rapito e venduto come schiavo e
tale rimase fino al felice salvataggio avvenuto nel mese di gennaio del 1853, dopo
dodici anni di cattività, mi è stato suggerito che queste mie vicissitudini potrebbero
rivelarsi molto interessanti per il grande pubblico. Sin da quando ho riacquistato
la libertà, non ho mancato di notare come negli Stati del Nord sia sempre più
diffusa
l’attenzione per
l’argomento della schiavitù. Circolano più numerose che mai opere di finzione
che dichiarano di raffigurarla tanto nei suoi aspetti più benevoli quanto in
quelli
più ripugnanti e che,
ho notato, sono assai spesso motivo di commenti e discussioni. Io posso parlare
della schiavitù solo per come l’ho osservata, conosciuta e personalmente
sperimentata. È mio intento fornire una testimonianza sincera e genuina: voglio
narrare la storia della mia vita, senza esagerazioni, lasciando ad altri il
compito di stabilire se nelle pagine dei romanzi. vengano raccontati soprusi
più crudeli o venga dipinta una prigionia più severa. Da quel che sono riuscito
ad appurare, i miei avi dal lato paterno della famiglia erano schiavi nel Rhode
Island. Appartenevano alla famiglia Northup, un membro della quale, trasferitosi
nello Stato di New York, si stabilì a Hoosic, nella contea di Rensselaer, portando
con sé Mintus Northup, mio padre. Alla morte di questo gentiluomo, che occorse
all’incirca cinquant’anni fa, mio padre divenne libero, emancipato
secondo le ultime
volontà del suo padrone. L’egregio signore Henry B. Northup di Sandy Hill,
illustre avvocato al quale, grazie alla Divina Provvidenza, devo la mia attuale
libertà e il ricongiungimento con mia moglie e i miei figli, è imparentato con
quella famiglia presso la quale i miei progenitori prestarono servizio e dalla
quale presero il cognome che io stesso porto. Si deve forse a questo la sua
indefessa premura nei miei riguardi. Una volta diventato un uomo libero, mio
padre si trasferì nella cittadina di Minerva, nella contea di Essex dello Stato
di New York, dove nacqui nel mese di luglio del 1808. Non ho modo di appurare
con esattezza quanto a lungo vi rimase.
Da lì si postò poi a Granville, nella contea di Washington, nei pressi di una
località nota come Slyborough, dove lavorò per qualche anno nella fattoria di Clark
Northup, un altro parente del suo vecchio padrone; quindi si trasferì alla
fattoria Alden, su Moss Street, poco a nord del villaggio di Sandy Hill; e poi
alla fattoria ora proprietà di Russel Pratt, sulla strada che da Fort Edward
conduce ad Argyle, dove rimase fino alla morte, che ebbe luogo il 22 novembre 1829. Lasciò una vedova e due
figli: me e Joseph, mio
fratello maggiore.
Quest’ultimo vive ancora nella contea di Oswego, vicino all’omonima città; mia madre
morì mentre io ero in schiavitù. Seppur nato schiavo, e avendo patito le
disgrazie cui la mia razza sfortunata è soggetta, mio padre era un uomo rispettato
per la sua laboriosità e la sua onestà, come sarebbero pronti a testimoniare
tutti coloro che ne serbano il ricordo. Trascorse la vita occupandosi di
agricoltura, senza mai cercare impiego in quei settori più umili che paiono riservati
a noi figli dell’Africa. Oltre ad averci fornito un’istruzione superiore a
quella solitamente concessa ai bambini della nostra posizione sociale, acquisì
con diligenza e parsimonia un titolo di proprietà, sufficiente a concedergli il
diritto di voto. Aveva l’abitudine di raccontarci dei primi anni della sua
vita, e pur ricordando sempre con bonarietà e persino con affetto la famiglia
presso la quale aveva prestato servizio, non poteva per questo accettare il
sistema della schiavitù e si soffermava con dolore sulle condizioni di degrado
in cui versava la gente della sua razza. Si sforzò di infondere in noi alti
valori morali e ci insegnò ad avere fede e fiducia in Colui che ama allo stesso
modo le Sue creature, quelle più umili come quelle più nobili. Assai spesso mi
sono tornati alla memoria questi paterni consigli, mentre giacevo in un capanno
per schiavi nelle lontane e torride regioni della Louisiana, dolente per le ingiuste
ferite inflittemi da un padrone disumano, e desideravo solo raggiungere il mio
genitore nella tomba, affinché quella stessa lapide mi proteggesse dalla sferza
del mio oppressore. Nel camposanto della chiesa di Sandy Hill, un’umile pietra tombale
segna il luogo dove riposa mio padre, dopo aver degnamente compiuto i doveri
destinati alle basse sfere del creato alle quali Dio l’aveva designato. Agli
inizi mi occupai principalmente dei lavori della fattoria insieme a mio padre.
Le ore di libertà che mi erano concesse
le trascorrevo di solito
sui libri, o esercitandomi con il violino, uno svago che fu la principale
passione della mia gioventù. È stato poi anche fonte di consolazione, poiché dava
gioia alle semplici creature con le quali condivisi l’amaro destino e mi distoglieva per molte
ore dalla triste contemplazione della mia esistenza. Nel giorno di Natale del
1829 sposai Anne Hampton, una giovane donna di colore che all’epoca abitava
vicino casa nostra. Il matrimonio fu celebrato a Fort Edward dall’egregio
signore Timothy Eddy, un giudice di quella città, della quale è tuttora cittadino emerito. Anne aveva
a lungo vissuto a Sandy Hill, presso il signor Baird, proprietario della Eagle
Tavern, e anche presso la famiglia del reverendo Alexander Proudfit, di Salem.
Questo gentiluomo fu per molti anni il presidente della locale società
presbiteriana ed era assai rispettato per la sua cultura e l’animo
caritatevole. Anne ancora rammenta con gratitudine l’immensa gentilezza e gli
ottimi consigli di quel buon uomo. Non è in grado di stabilire con esattezza la
propria discendenza, ma nelle sue vene scorre, mescolato, il sangue di tre
razze. È difficile stabilire quale, tra
la rossa, la bianca e la nera, sia predominante. La loro unione, tuttavia, le
ha donato un aspetto singolare ma assai piacevole, che ha ben pochi riscontri. Seppur
in qualche modo simile, non può propriamente esser definita mulatta, categoria alla
quale, ho dimenticato di dire, apparteneva mia madre. Ai tempi del matrimonio
avevo appena raggiunto la maggiore età, avendo compiuto i ventun anni nel
luglio dell’anno precedente. Privo dei consigli e del supporto di mio padre,
con una moglie che faceva affidamento su di me per il proprio sostentamento,
decisi di entrare nel mondo del lavoro; malgrado l’ostacolo rappresentato dal
colore della pelle e consapevole della
mia bassa posizione sociale, mi concessi il sogno di un futuro migliore, quando
come ricompensa per le mie fatiche fossi riuscito ad acquistare un’abitazione,
seppur umile, e qualche acro di terra, che mi donassero agio e felicità. Da
quel giorno fino a oggi l’amore che nutro per mia moglie è sempre stato sincero
e profondo; e solo chi conosce il tenero affetto che un padre prova per la sua
prole può comprendere i miei sentimenti per gli adorabili bambini cui abbiamo donato la vita. Ritengo opportuno e
necessario dire certe cose affinché chi legge queste pagine possa comprendere
la profondità delle sofferenze che sono stato poi condannato a patire. Subito
dopo il matrimonio cominciammo a lavorare come domestici nel vecchio edificio
giallo che all’epoca sorgeva al confine meridionale del villaggio di Fort
Edward e che è stato poi trasformato in una residenza moderna e di recente
occupato dal capitano Lathrop. Dopo l’istituzione della Contea, talvolta questo
palazzo, noto come Fort House, viene usato quale sede per il tribunale, durante
i processi. Fu anche occupato da Burgoyne nel 1777, poiché si trovava vicino al
vecchio forte, sull’argine sinistro dell’Hudson. Durante l’inverno trovai lavoro
insieme ad altri nell’opera di ristrutturazione del vecchio canale Champlain,
lungo la
sezione che aveva
William Van Nortwick come sovrintendente. Gli uomini insieme ai quali lavoravo
erano sotto il diretto comando di David McEachron. Quando in primavera
riaprimmo il canale, con
i soldi della paga che avevo messo da parte riuscii a comprare due cavalli e
vari strumenti necessari all’industria della navigazione. Ingaggiati alcuni
marinai d’esperienza, cominciai a occuparmi del trasporto di grosse zattere
cariche di tronchi dal lago Champlain fino a Troy. In molti di questi viaggi
fui accompagnato da Dyer Beckwith e da un certo signor Bartemy, di Whitehall. Nel
corso della stagione sviluppai una perfetta conoscenza dei segreti e dell’arte
della navigazione fluviale, talento, questo,
che mi avrebbe poi permesso di rendere proficui servigi a un buon padrone e di
stupire le semplici menti dei taglialegna sulle rive del Bayou Bœuf. Durante
una delle traversate sul lago Champlain, fui convinto a fare una gita in
Canada. Trovato alloggio a Montreal, visitai la cattedrale e altri luoghi di
interesse e proseguii poi verso Kingston e altre città, familiarizzando così con
la geografia locale, cosa che mi sarebbe tornata assai utile in futuro, come si
vedrà verso la fine di questa storia. Dopo aver onorato quei contratti con
soddisfazione mia e del mio datore di lavoro, e poiché non desideravo
starmene con le mani in mano ora che il
canale era di nuovo chiuso al traffico, firmai un altro contratto con Medad
Gunn, per il quale avrei dovuto tagliare una grande quantità di legna. Questo
impiego mi tenne occupato per tutto l’inverno 1831-1832. Al ritorno della primavera,
io e Anne cominciammo a pianificare l’acquisto di una fattoria nei paraggi.
Negli anni di gioventù mi ero impratichito nei mestieri dell’agricoltura, un’occupazione
congeniale ai miei gusti. Stipulai quindi un accordo per una parte della
vecchia fattoria Alden, dove un tempo aveva vissuto mio padre. Con una mucca, una
scrofa e un buon tiro di buoi che avevo di recente comprato da Lewis Brown, a
Hartford, e con altri effetti e beni personali, ci trasferimmo nella nostra
nuova casa di Kingsbury. Quell’anno seminai a grano venticinque acri di terra, preparai i campi per la
coltivazione dell’avena e investii tutto ciò che avevo al fine di avviare
un’attività agricola quanto più estesa possibile. Anne si occupava con
diligenza delle faccende domestiche, mentre io lavoravo sodo nei campi. Restammo
alla fattoria fino al 1834. Nella stagione invernale venivo spesso invitato a
suonare il violino. Ovunque i giovani si riunissero per danzare, c’ero quasi
sempre anch’io. Il mio archetto era famoso nei villaggi del circondario. Anche
Anne, durante la lunga residenza alla Eagle Tavern, era diventata piuttosto
famosa come cuoca. Nelle settimane in cui Fort House ospitava il tribunale, e
in
occasione di eventi
pubblici, veniva impiegata dietro lauto compenso nelle cucine della Sherrill’s
Coffee House. Una volta terminate queste occupazioni, tornavamo sempre a
casa con un bel gruzzoletto,
tanto che tra violino, cucina e agricoltura ci ritrovammo ben presto
nell’agiatezza e conducevamo in effetti una vita prospera e felice. Sarebbe stato
assai meglio se fossimo rimasti nella fattoria di Kingsbury; ma giunse il momento
in cui fui costretto a muovere il passo
successivo, un passo che mi avrebbe portato verso un destino crudele. Nel marzo
del 1834 ci trasferimmo a Saratoga Springs. Occupavamo un’abitazione che
apparteneva a Daniel O’Brien, sul lato settentrionale di Washington Street.
All’epoca Isaac Taylor gestiva una grossa pensione, nota come Washington Hall,
all’estremità settentrionale di Broadway.
Mi assunse come cocchiere, incarico che conservai per due anni. Dopo
questo periodo trovai impiego insieme ad Anne
presso lo United States Hotel e in altre pensioni del posto durante la
stagione turistica. D’inverno mi affidavo al mio violino, anche se all’epoca
della costruzione della ferrovia fra
Troy e Saratoga trascorsi diverse giornate di duro lavoro alla posa dei binari.
A Saratoga presi
l’abitudine di comprare i beni di prima necessità per la mia famiglia nelle
botteghe dei signori Cephas Parker e WilliamPerry, due gentiluomini nei confronti
dei quali, grazie a molti
gesti di grande cortesia, sviluppai un forte rispetto. Fu per questo motivo
che, dodici anni più tardi, feci consegnare a loro la lettera che è acclusa anche
in questo volume e tramite la quale, nelle mani del signor Northup, si arrivò alla
mia fortunosa liberazione. Quando vivevo allo United States Hotel mi capitava
sovente di incontrare schiavi che accompagnavano i loro padroni dal Sud. Erano
sempre ben vestiti e nutriti, conducevano una vita in apparenza agiata, turbati
da ben pochi dei problemi
che di solito ci
affliggono. Diverse volte mi ritrovai a conversare con loro sull’argomento
della schiavitù e quasi sempre scoprii
che nutrivano un segreto desiderio di libertà. Alcuni di loro espressero
l’ardente desiderio di fuggire e mi chiesero consiglio sui modi migliori per
riuscirvi. Tuttavia, la paura della punizione che sapevano per certo li avrebbe
attesi una volta catturati si rivelava ogni volta sufficiente a trattenerli
dall’impresa. Poiché avevo sempre respirato
l’aria libera del Nord, e dal momento che nutrivo sentimenti e affetti uguali a
quelli che albergano nel cuore dell’uomo bianco ed ero inoltre dotato di
un’intelligenza pari a quella di alcuni uomini quanto meno di carnagione
più chiara della mia,
ero troppo distante dalle loro realtà, troppo indipendente forse, per capire come
ci si potesse accontentare di vivere nelle abiette condizioni di uno schiavo. Non
mi capacitavo di come certe leggi, e anche alcune dottrine religiose, potessero
riconoscere o legittimare il principio della schiavitù; e mai una volta, questo
posso dirlo con orgoglio, a chiunque mi si rivolgesse mancai di suggerire di
cogliere l’occasione giusta e tentare la fuga verso la libertà. Rimasi a
Saratoga fino alla primavera del 1841. Le rosee ambizioni che sette anni prima
ci avevano sedotto e spinto ad abbandonare la tranquilla fattoria sulla sponda
orientale dell’Hudson non si erano ancora concretizzate. Sebbene vivessimo sempre
in condizioni agiate, non ci eravamo arricchiti. La società e i rapporti
personali in quella stazione termale famosa in tutto il mondo non promuovevano
certo
i semplici valori di
laboriosità e parsimonia ai quali ero abituato, ma tendevano al contrario a
sostituirli con altri, più propensi all’inattività e allo sperpero. All’epoca
eravamo genitori di tre figli, Elizabeth, Margaret e Alonzo. Elizabeth, la
maggiore, aveva dieci anni, Margaret era di due anni più giovane, mentre il
piccolo Alonzo ne aveva appena compiuti cinque. Riempivano di gioia la nostra casa.
Le loro giovani voci erano musica per le nostre orecchie. Quanti castelli in aria
costruimmo per quelle piccole creature innocenti. Quando non ero al lavoro,
passeggiavo sempre insieme a loro, vestiti con gli abiti migliori, per le
strade e i parchi di Saratoga. Stare con loro era la mia più grande gioia; e me
li stringevo al petto con lo stesso calore e la stessa tenerezza che mi
avrebbero suscitato se la loro pelle scura fosse state bianca come la neve. Finora
la storia della mia vita non presenta alcunché di insolito: ci sono soltanto le
normali speranze, gli affetti e le fatiche di uno sconosciuto uomo di colore
che segue la propria strada nel mondo. Ma ero ormai arrivato a un punto di
svolta della mia esistenza, ero giunto sulla soglia di una sventura
indescrivibile, del dolore e della disperazione. Mi trovavo all’ombra di quella
nuvola nella cui fitta oscurità sarei presto svanito, per rimanere nascosto
agli sguardi di tutti i miei cari, privo della dolce luce della libertà, per
tanti, troppi anni.
Bene
miei carissimi lettori, da qui inizia la storia narrata nella pluripremiata
pellicola, che per la drammaticità e le scene forti, mi ha riportato alla mente
l’intensità del film, Il colore viola, diretto da Steven Spielberg nel 1985, e che ha
avuto come protagonista la grande Whoopi
Goldberg. Nonostante le molte nomination nel 1986, questo film non ha
ottenuto nessun Oscar, ribaltando tutti i pronostici, ma sicuramente ha lasciato
un segno nel cuore di chi l’ha visto o ha letto le pagine omonime, scritte da Alice Malsenior Walker.
12 Anni schiavo, si è rifatto anche per
questa storica pellicola, e con la statuetta, come miglior
film del 2014 è
entrato in grande stile, nella storia del cinema e della letteratura, con una
ristampa delle ormai celebri memorie del 1853 scritte da un uomo nato libero,
reso schiavo per 12 lunghi anni, dopo i quali è riuscito a beffare il destino e
riottenere la LIBERTÀ. Solomon Northup.