lunedì 26 agosto 2013
Ogni uomo in fondo al cuore crede di essere un investigatore nato John Buchan
Agenda
letteraria
Ciao a tutti cari amici, oggi 26 Agosto la nostra agenda
ci ricorda la nascita dello scrittore scozzese, John Buchan. Ha iniziato a scrivere poesie, che gli hanno valso
qualche riconoscimento, prima di dedicarsi alla scrittura di romanzi, quando
divenne socio di una casa editrice, è nel 1910 ha scritto il primo che ha il titolo: Preston John. La sua opera
più famosa è “I trentanove gradini”, un romanzo di spionaggio ambientato al periodo
precedente la guerra. Questo libro, è stato pubblicato nel 1915 e proprio da
quest’opera il grande Alfred Hitchcock ha tratto un film di grande successo dal
titolo “Il club dei trentanove”, che è uscito nel 1935. Nel 1936, su esortazione
di Lady Tweedsmuir, ha fondato un premio letterario tuttora esistente, il Governor General's Awards.
Titolo I trentanove scalini
Autore John Buchan
Editore Newton
Prezzo Ebook 0.49 €
Questa storia, oltre a aver ispirato uno dei più famosi
film del grande regista Hitchcock, per la grande suspense che trasuda dalle sue
pagine, dove un uomo chiamato Richard
Hannay, da poco trasferitosi a Londra dal Sudafrica, incontra per caso un
americano, Scudder, che gli racconta
una grande e terribile macchinazione per far scoppiare una guerra tra Germania
e Russia, la cosa si complica quando Scudder viene ucciso e ora Hannay, si
trova con in mano il grande fardello di impedire il complotto. Con un racconto
incalzante ricco di pericolose avventure il giovane scopre il mistero celato
dietro i dei trentanove scalini.
Vi lascio con un passo di questo romanzo:
… Mio padre mi
aveva condotto via dalla Scozia all’età di sei anni e da allora non era più tornato
in patria. L’Inghilterra mi appariva perciò come un sogno da Mille e una notte
e contavo di stabilirmici appena possibile per il resto dei miei giorni … Morire?
Immagino che debba essere come addormentarsi dopo una grande fatica e
svegliarsi in uno di quei bei giorni d’estate nei quali l’odore del fieno entra
dalla finestra. Ho spesso ringraziato Dio per qualche mattino di questo,
genere, in altri tempi, nel paese dell’erba azzurra, e penso che lo ringrazierò
anche risvegliandomi sull’altra sponda del Giordano. …
Poesia - La sua voce / è di puro cristallo. /Vibra nel buio. Chiara Taormina
Poesia
Eccoci qui miei cari lettori, oggi ritorniamo
a parlare di poesia, e vi presento un genere particolare che ha avuto molto
successo per l’immediatezza e la semplicità dei suoi versi, annotandosi così
tra la poesia popolare. L’Haiku.
L'Haiku, per chi non lo sa, è una particolare poesia di
origine giapponese, che si è sviluppata nel periodo
Edo che va dal 1603-1868 e si caratterizza per la speciale composizione in
tre versi, di 5– 7- 5 sillabe, per un totale di 17. Uno stile, che si limita
all’essenziale, infatti non ha titolo e nessun arricchimento poetico e richiama
un particolare momento, come uno scatto fotografico, secco e immediato che cattura
un movimento della natura o dell’animo, come possiamo vedere in questa immagine
che riporta un verso di Matsuo Bashō.
Questa
poesia, è stata usata per cantare come in questi versi, la natura e i
sentimenti umani. I principali cantori di questo genere poetico sono Matsuo Bashō, Kobayashi Issa, Yosa Buson
e poi Masaoka Shiki.
Tra
questi grandi poeti ho scelto di parlarvi di Matsuo Bashō, di cui ho letto le opere poetiche nel libro: Poesie.
Haiku e scritti poetici, a cura di Muramatsu Mariko, pubblicato da La
vita felice Editore, che presenta anche il testo giapponese a fronte.
Titolo
Poesie. Haiku e
scritti poetici
Autore Matsuo Bashō
Editore La vita felice
Collana Labirinti
Prezzo
10,00 €
Ma scopriamo chi è Matsuo Bashō?
Pseudonimo di Matsuo Munefusa, ha
utilizzato il nome Bashō, ovvero banano, quando un suo allievo gli ha regalato
questo alberello. Come avrete capito è un poeta di origine giapponese, che ha
vissuto nel cosiddetto Periodo Edo, precisamente tra il 1644 e il 1694, e in
questo genere poetico è stato uno dei grandi maestri, ispirato al componimento
dai suoi numerosi pellegrinaggi in tutto il Paese come monaco Zen, attraverso i dettami della sua filosofia
religiosa, è riuscito a immedesimarsi meglio con l’ambiente che lo circonda,
scrivendo dei versi che hanno un preciso significato. Oltre agli haiku, ha scritto anche
vari diari di viaggio.
Una piccola curiosità la si può ritrovare nel
suo nome Bashō, che il nostro poeta ha deciso di usare come appellativo, per
simboleggiare l’inutilità delle cose e del poeta, proprio come il frutto del
banano, che al di fuori del suo clima non ha prodotto alcun frutto.
Il
cavallo mi porta lentamente:
mi
vedo, come in un quadro,
in
un campo d’estate
Gli
haiku, sono diventati molto popolari nel tempo, tanto che ancora oggi alcuni
autori si cimentano in questo stile, come ad esempio l' autrice di
questa raccolta di versi, Chiara Taormina, che ha trovato
ispirazione da questo stile poetico per dar vita, a una poesia che ritorna alle
origini lasciando libero il lettore di spaziare con la mente e il cuore tra le
immagini riflesse dalla natura, in un libro dal titolo: “Haiku e poesie. I ricordi
dell’anima” e da “Conversazioni. Raccolta di Haiku”, anche
in versione ebook a soli € 2,50, disponibile anche on-line e su Amazon.
Chiara Taormina è nata a Palermo, dove risiede.
Appassionata di arte e cultura orientale si diletta anche nella
composizione di haiku.
Ha ottenuto premi e menzioni in diversi concorsi letterari,
nazionali ed internazionali; è risultata finalista in vari concorsi letterari.
Sue poesie e racconti sono pubblicati in varie antologie e riviste letterarie.
Un’amicizia pericolosa esplora il labile confine che separa verità e menzogna, catturando il lettore in una storia ipnotica dal finale spiazzante. Kirkus Reviews
Caffè letterario
Buongiorno,
Cari amici lettori che mi seguite dal
virtuale mondo, è giunto il momento di connettersi, perché sta per avere inizio
il nostro Caffè letterario, che oggi vi farà
incontrare Odalie, una donna che vi coinvolgerà con il suo caschetto nero e il
suo fascino da soubrette dei mitici anni venti, a cui appartiene, proprio come
la protagonista del nostro libro, che si troverà a dover affrontare “Un’amicizia
pericolosa”, quindi ecco per voi uno spumeggiante caffè macchiato per
addolcire il vostro risveglio in compagnia di questo libro e della sua autrice Suzanne
Rindell, che accompagna il nostro caffè, con “Un romanzo raffinato e coinvolgente,
in cui nulla è come sembra”.
Titolo Un’amicizia
pericolosa
Autore Suzanne Rindell
Editore NORD
Collana Narrativa Nord
Traduttore Patrizia Spinato
Prezzo 17,60 ebook 12.99 €
Un libro
coinvolgente quello della nostra Suzanne, che ci riporta ai mitici anni venti,
dove la donna moderna si taglia i capelli in modo sensuale come gli splendidi abiti
che scoprono le gambe, rivelando una donna forte e sicura di sé, che fa
scomparire il pregiudizio della donna debole e fragile che sviene per un non
nulla, e questo il mondo di Odalie, che incarna l’ideale di donna che vorrebbe
essere Rose, la protagonista di questo emozionante romanzo venuto fuori dalla
mente brillante di Suzanne Rindell, che ci coinvolgerà in un’amicizia pericolosa
che insieme a Rose, potrebbe portarci alla rovina.
Ecco Suzanne
Rindell, l’angelico viso di colei che ci trascinerà con una scorrevole e
coinvolgente scrittura in una avventura senza pari, vissuta nello splendido
scenario degli anni venti, dove Rose sta per essere coinvolta in qualcosa di
più pericoloso della voglia di libertà e determinazione che mostra l’ideale
della donna moderna che veste le strepitose creazioni di Coco Chanel.
Questa aggraziata scrittrice che ha un
dottorato in Letteratura moderna americana alla Rice University, mostra le sue
qualità in questo suo primo manoscritto
che come potrete vedere già dalle prime pagine saprà coinvolgere il lettore in
una storia ricca di colpi di scena che vengono esaltati dal suggestivo scenario
che ci fa rivivere le feste, i colori di
quel periodo che hanno fatto da scenario a Charlie Chaplin, Coco Chanel che
come Il grande Gatsby, è ambientato
nella mitica New York, che a quel tempo a fatto trepidare il mondo con il
mitico scenario di Broadway.
Ora è giunto il momento di lasciar perdere i
convenevoli e profondare gli occhi su questo assaggio da gustare con il nostro
caffè.
Dicevano che la
macchina da scrivere avrebbe annullato le donne. Basta dare un’occhiata all’aggeggio
in questione per capire come fossero arrivati a una simile conclusione (mi
riferisco ai sedicenti custodi della virtù e della moralità femminile, per intenderci).
Una comuna macchina per scriver, che sia una Underwood, una Royal, una
Remington o una Corona, è un oggetto rigido, austero, che va dritto al punto
con la sua forma squadrata, infinitamente lontano dalle sinuose frivolezze e
dalla volubilità così tipicamente femminili. Senza contare la violenza dei suoi
martelletti, la forza spietata con cui infieriscono sulla carta. Spietata. No, di sicuro la pietà non è
una caratteristica della macchina per scrivere. Del resto, non posso nemmeno
dire di essere un’esperta in materia di pietà, visto che il mio lavoro riguarda
più che altro l’estremo opposto. Mi riferisco alle confessioni. No, non mi
occupo di mettere sotto torchio i criminali. Quello è compito del sergente. O del
tenente. Non certo il mio. Il mio è un lavoro silenzioso. Almeno lo è se si
esclude la raffica di colpi prodotti dalla macchina da scrivere che ho davanti,
quando trascrivo il contenuto dei rotoli in stenotipia. Un frastuono di cui, in
ogni caso, non sono minimamente responsabile, visto che sono solo una donna, cosa
di cui il sergente sembra rendersi conto giusto nel momento in cui usciamo
dalla stanza degli interrogatori, quando mi sfiora una spalla e dice, con tono
grave e solenne: “Rose, mi dispiace
davvero che una signora come lei sia costretta a sentire certe cose”,
riferendosi ai dettagli dello stupro, del furto o di quale che sia il delitto
appena confessato. E il catalogo dei crimini di cui sentiamo il resoconto, qui
nei nostri uffici del Lower East Side di Manhattan, non fa certo venir voglia
di approfondire l’argomento. Quando il sergente di “signora”, si sta
dimostrando oltremodo cortese. In questo 1924 che ormai volge al termine, la
definizione della sottoscritta oscilla infatti tra “signora” e “donna”. La differenza,
com’è ovvio, la fanno in parte il livello d’istruzione – cosa di cui posso
modestamente vantarmi, avendo frequentato l’Astoria Stenographers College for
Ladies -, in parte le origini e il denaro, requisiti che, in quanto orfana e
con paga di quindici dollari a settimana, non posso certo sfoggiare. Senza dimenticare,
certo, la questione del lavoro in senso stretto. Si dà per assodato che una signora possa avere degli “impegni”, ma
assolutamente non un “lavoro” e, dal momento che preferisco avere un tetto sulla
testa e un piatto caldo ogni giorno, piuttosto che rinunciarci, sono costretta
a tenermi stretto il secondo. Ed è proprio questo che intendevano, quando
dicevano che la macchina per scrivere ci avrebbe annullato come donne; nel
senso che ci avrebbe trascinato fuori dalle nostre case, catapultandoci non in
una fabbrica di abbigliamento o in una lavanderia, ma in un commissariato o in
un’azienda contabile, territori che un tempo erano battuti in esclusiva dal
popolo maschile. A sentir loro, ci saremmo slacciate il grembiule per infilarci
dentro camicie inamidate e scialbe gonne blu, che di sicuro ci avrebbero rese
sterili; il fatto poi di ritrovarci perennemente circondate da tutti quegli
aggeggi tecnologici – macchine per stenotipia, ciclostili, calcolatrici, tubi
per la posta pneumatica – ci avrebbe fatto inevitabilmente irrigidire, mentre il nostro tenero cuore
femminile si sarebbe indurito, bramoso d’imitare quel mare di ferro, ottone e
acciaio. … il mio lavoro… sia una delle mansioni più civilizzate offerte al giorno
d’oggi. Un lavoro che peraltro non fa insorgere complicazioni di sorta, dal
momento che una brava dattilografa sa stare al proprio posto ed è più che felice, essendo
una donna, di ricevere un salario adeguato. In ogni caso, se fosse davvero un’attività
idonea agli uomini, ci sarebbero molti più dattilografi maschi e, inutile a
dirsi, non se ne vedono affatto. … il tenente e il sergente sono molto diversi
tra loro, ma sembravano aver siglato da tempo immemore una qualche specie di
scomodo accordo. Ho sempre avuto la netta sensazione che sia meglio evitare
prendere le parti dell’uno o dell’altro, per non compromettere il precario
equilibrio indispensabile alla loro collaborazione, ma in tutta sincerità devo
confessare che mi sento più a mio agio col sergente. … Una delle ragioni per
cui preferisco lavorare con il sergente è che il tenete segue quasi sempre casi
di omicidio, di conseguenza, la maggior parte delle volte in cui lo accompagno
nella stanza degli interrogatori è per verbalizzare alla macchina da stenotipia
la confessione di un sospetto assassino. … Tutto procedeva con la solita
armonia, fino all’arrivo dell’altra dattilografa. Intuii che qualcosa stava per
succedere nell’attimo esatto in cui varcò la soglia, il giorno del colloquio. Entrò
a passi lenti, con estrema calma, ma io capii subito di avere davanti l’occhio
del ciclone. Quella donna era il cupo epicentro di un evento che ancora ci era
oscuro, il rovinoso luogo in cui caldo e freddo si fondono. In quell’istante
capii che tutto, attorno a lei, sarebbe cambiato. Temo però che riferirmi a lei
come "all'altra dattilografa", sia fuorviante, dal momento che ce
n’erano sempre state "altre". …
Adesso non ci
resta che scoprire cosa ha Odalie di così diverso dalle altre e quale ciclone
potrà mai portare questa dattilografa e soprattutto cosa succederà a Rose? Scopriamolo
leggendo questo emozionante romanzo edito dalla NORD Editore.