Good Morning amici di lettura,
il caffè è servito, insieme alle pagine
dell’ultimo libro di una delle scrittrici più apprezzate della narrativa Sveva
Casati Modigliani, che con Palazzo Sogliano, ci accompagnerà durante il risveglio
con la storia di Orsola e Edoardo, un’amore intenso nato al primo sguardo, ma
che nasconde un segreto che Orsola scopre con sgomento la sera che il suo
adorato marito muore. La storia di una famiglia, di un amore sincero velato da un inconfessabile segreto, gli ingredienti giusti per
addolcire e energizzare il nostro caffè insieme alla nostra giornata.
Un libro adatto al lunedì?
Lascio a voi il giudizio, sorseggiando insieme al vostro caffè le pagine
di Palazzo Sogliano, che saprà trovare le parole giuste per intrattenervi e
dare una marcia in più a questa prima settimana d'autunno.
SAVERIO bussò più volte alla porta senza avere risposta. Allora
schiuse il battente ed entrò nella stanza immersa nella penombra. La luce del
mattino filtrava dalle persiane e una lama di sole rischiarava la camera
matrimoniale. Il soffice tappeto francese su cui il giovane camminò gli
consentì di accostarsi al letto della madre senza far rumore. La donna dormiva
profondamente. Saverio si chinò su di lei e sussurrò: “Mamma”. Orsola increspò per un attimo le labbra ma non reagì. “Mamma”, ripeté con voce più decisa. Lei
apri gli occhi. Suo figlio le accarezzo la fronte e le sedette accanto sul
bordo del letto. Orsola avrebbe voluto riacciuffare il sonno e mettere una
barriera tra sé e la realtà. “Mammina,
devi alzarti. Sono già iniziate le visite”, la sollecitò con voce suadente.
“Non mi importa. Voglio essere lasciata in pace”, farfugliò Orsola. “Stai di nuovo male? Devo chiamare
richiamare il dottore?” si preoccupò lui perché la sera prima Orsola era
svenuta. Sergio De Santis, d vent’anni il medico di famiglia, chiamato d’urgenza,
le aveva misurato la pressione del sangue e somministrato immediatamente un
farmaco per abbassarla, scongiurando così rischi più seri. Poi, le aveva praticato
un’iniezione che l’aveva spedita nel mondo dei sogni, mentre le diceva: “La morte di tuo marito non ha colpito
soltanto te, ma tutta la famiglia. Sei sempre stata una donna forte, fatti
coraggio perché tutti hanno bisogno dl tuo aiuto”. Se n’era andato
raccomandando di lasciarla riposare il più a lungo possibile. Adesso Orsola
avrebbe continuato a dormire se il figlio maggiore non l’avesse svegliata
riportandola a una realtà che era molto simile a un incubo. “Starò malissimo, se non te ne vai”,
disse ora con tono lamentoso. Saverio emise un sospiro rassegnato, si alzò e
concluse: “Va bene. Mi inventerò qualcosa”.
La baciò su una guancia e uscì dalla camera. Orsola si sentì invadere da un’ondata
di angoscia che le serrò la gola. Non avrebbe riservato, in rapida successione,
due prove tanto difficili e dolorose: la prima, la perdita improvvisa del
marito, morto in un incidente d’auto e, subito dopo, la scoperta casuale di un
segreto inquietante. Pensò alla folla di parenti e amici che l’aspettavano al
piano di sotto. Non poteva affrontare abbracci, le strette di mano, le parole
di conforto, gli sguardi carichi di pena, perché la sua pena andava oltre il
lutto che l’aveva colpita. Poco dopo la porta della camera tornò a schiudersi e
sulla soglia si profilò la figura esile di Margherita, sua suocera. “Posso entrare?” domandò con un filo di
voce. Orsola accese la lampada sul comodino, si sollevò a sedere sul letto e
rispose: “Venite, mammà, sedetevi accanto
a me”. “Come stai figliola?” domandò l’anziana signora. Margherita Sogliano
era la suocera che ogni donna vorrebbe avere. Dolce, generosa, collaborativa,
mai invadente, aveva fatto in modo che Orsola, entrando in casa Sogliano, si
sentisse subito a proprio agio. Aveva capito che non era semplice, per una
ventenne che veniva dal nord, figlia di un ciabattino, adeguarsi agli usi della
famiglia e della gente di Torre del Greco. La suocera, più di Edoardo, l’aveva
tenuta per mano guidando i suoi passi nel mondo affascinante dei corallari. I
Sogliano erano ricchi, la loro fortuna risaliva ai primi decennio dell’Ottocento.
Non appartenevano all’aristocrazia di sangue, ma a quella del corallo. Infatti
il mercato mondiale del prezioso materiale rosso pescato dal mare era nelle
loro mani e in quelle di poche altre famiglie che da duecento anni vivevano e
lavoravano nella piccola città abbarbicata alle pendici del Vesuvio. Erano
armatori, pescatori, procacciatori d’affari, artigiani dotati di fantasia e
straordinario talento artistico e si definivano semplicemente corallari.
Risiedevano in grandi ville e antichi palazzi che erano anche sede delle loro
aziende. Oltre le stanze, i saloni di rappresentanza, i salotti, c’erano i
magazzini, i laboratori, gli uffici animati dall’alba al tramonto da un
incessante brusio di voci, dal rumore dei macchinari, dai pianti e dalle risate
dei bambini, dalle canzoni d’amore cantate dalle operaie. E quando padroni e
operai consumavano il pranzo, si intrecciavano confidenze appena sussurrate e l’aroma
del caffè sovrastava l’odore intenso di salsedine del corallo che non svaniva
neppure dopo che i rami erano stati lavati e rilavati, sgrossati, tagliati e
lucidati. Il corallo racchiude in sé il fascino del mare e il mistero di una
natura in bilico tra il regno minerale, vegetale e animale. ... Ora, a
Margherita che le chiedeva come stesse, rispose: “Piuttosto dovrei essere io a chiedervi come state”. Orsola prese
la sua mano e la tenne stretta. “Dio dà,
Dio toglie”, sussurrò la suocera, con un sospiro carico di tristezza.
Orsola avrebbe voluto replicare che lei aveva una pena in più, ma non voleva
aggiungere al dolore di quella madre un altro dispiacere. “Tra poco lo riporteranno a casa e, fino a domani, sarà ancora nostro”,
proseguì Margherita. E soggiunse: “Ora
dovresti alzarti e affrontare la situazione. Ti farà bene, perché il dolore ha
bisogno di coralità per diventare sopportabile”. Orsola osservò quel viso segnato dagli anni,
gli occhi chiari velati di lacrime, le labbra sottili piegate dalla sofferenza
e, di slancio, l’abbracciò. Si strinse a lei e le confidò: “Non riesco ad affrontare gli amici e i parenti, ho bisogno di stare
ancora da sola”. “Tuo marito non c’è più, avrai tanto tempo per la solitudine”,
disse Margherita sciogliendosi dalle braccia della nuora. “Adesso dovrai fare la tua parte in famiglia e nella nostra comunità.
Sei la signora Sogliano, ricordalo”, la esortò con dolcezza. Orsola pensò
che proprio perché era la signora Sogliano non poteva presentarsi agli ospiti
poiché era troppo sconcertata e turbata da quello che aveva scoperto la sera in
cui suo marito era morto. “Vestiti e
scendi”, le ingiunse Margherita sul punto di uscire dalla camera. Rimasta
sola, Orsola si alzò e si infilò nella stanza da bagno. La luce intensa del
giorno irrompeva dalla portafinestra che dava sul giardino e per un attimo, l’accecò.
Si chinò sul lavabo, apri il rubinetto dell’acqua fredda e si sciacquò il viso.
Poi si asciugò, si sfilò la camicia da notte ed entrò nella cabina della
doccia, lasciò che i getti caldi dell’acqua le sferzassero il capo mentre ripensava
a quanto era accaduto la sera precedente...
0 commenti:
Posta un commento