Caffè letterario
Buongiorno!
Amici in lettura, inizia una nuova settimana e per animare la vostra giornata ecco che arrivano le delicate note
profumate di uno splendido giardino che sparge come in una meravigliosa
primavera il suo incantevole profumo che possiamo ritrovare tra le pagine rosa
di questo romanzo che accompagneranno con la loro fragranza il vostro caffè.
L’ultimo battito
del cuore, è come un piccolo bocciolo che schiude i suoi petali, e
proprio così farà anche con il nostro cuore insieme a quello della sua
protagonista, Penelope che dopo la perdita del suo grande amore scoprirà che
infondo al suo cuore c’è un meraviglioso giardino sopito che aspetta di essere
scoperto e coltivato.
Penelope non ama le rose, ma ama profondamente Adam, e quando lui
attraversa le porte dell’aldilà, lei vaga nella profonda solitudine del suo
cuore, fino a quando un giardino risveglia la sua voglia di vivere e sarà
proprio grazie a questa brulla terra del Kent a far scorrere il filo del
destino per farle incontrare Tristan, colui che potrà far battere ancora una
volta le lancette del suo cuore che si erano congelate con la morte del suo
primo e unico amore. Una romantica storia d’amore che sboccia come un piccolo
bocciolo dalla penna di Valentina Cerberi, che con questo suo primo romanzo
mostra lo splendore di un giardino che torna a fiorire spargendo nell’aria il
suo delicato profumo, che mi riporta alle mente le romantiche note di Nicholas Sparks e il magico mistero
racchiuso nel bellissimo romanzo di Frances
Hodgson Burnett, Il giardino segreto.
Dopo questa premessa, vi lascio sorseggiare il vostro caffè
con le pagine di questa romantica storia, che nonostante la tristezza delle
prime pagine, farà battere il vostro cuore insieme a quello della povera
Penelope, che potrà tornare a sbocciare solo grazie alla vostra lettura.
Autunno 2008
L’odore dei fiori era dappertutto. La seguiva
in ogni angolo, come una oscura maledizione. Penelope si ritrovava aggrappato
ai vestiti l’odore pastoso dei gigli in fiore. Seguiva ogni suo passo come gli
invitati alla funzione. Il funerale di Adam. Era da poco calato il sole, eppure
avrebbe giurato di aver stretto più mani lei in quella giornata che in tutta la
sua vita. Tutti, del resto, amavano Adam Spencer, ma a differenza di Isabel,
che con il figlio aveva condiviso una vita intera, a lei erano spettate le
briciole. La loro vita insieme, tutti i progetti per il futuro, si erano
liquefatti nella carcassa della loro auto, travolta da un camionista sorpreso
da un colpo di sonno. Dopo lo schianto c’era stata la corsa in ospedale, la
constatazione della morte, la benedizione di un prete e un amen su un’esistenza
interrotta troppo in fretta. E ora lei se ne stava seduta su una sedia a rotelle
nel bel mezzo del giardino degli Spencer. Si era svegliata dal coma qualche
settimana prima, ma nella sua testa era ancora tutto confuso. La sola cosa che
le appariva chiara era la morte di Adam. Lui non ce l’aveva fatta, non l’aveva
aspettata. Aveva avuto fretta di andarsene, non le aveva permesso nemmeno di
salutarlo come si deve. Non appena riacquistato l’uso della parola, Penelope
aveva subito chiesto di lui, ma era troppo tardi, e i suoi organi erano già
stati trapiantati in corpi sconosciuti. Dell’uomo che amava non le era rimasto
niente. Nemmeno quel cuore che aveva giurato essere suo. Seduta davanti alla
sua tomba Penelope avrebbe voluto gridare, ma nessuno si sarebbe mai
precipitato a soccorrerla. Nessuno poteva, né si sforzava di capire. Adam le
aveva promesso una vita insieme, le aveva giurato che quando fossero stati
anziani e malandati si sarebbero ricordati le pillole l’un l’altro, ma quel
sogno era durato appena qualche settimana. Non ci sarebbero state più
lavatrici, camicie da stirare o il secondo spazzolino nel bicchiere accanto al lavandino.
Niente. Soltanto distese di solitudine, una lanugine che difficilmente avrebbe
potuto spazzare via dal cuore. Penelope sentiva ancora nelle orecchie l’eco
della sua risata, quell’ottimismo incrollabile, ma nelle mani aveva solo il
vuoto di un addio consumato. “Va’ avanti”,
“lui non vorrebbe saperti infelice” continuavano a ripeterle una serie di
facce spiegazzate dal pianto sopra lugubri abiti neri. Avanti però Penelope non
riusciva proprio a guardare, e il presente era già un fardello pesante per le
sue ginocchia ossute fare capolino dai pantaloni. Era stato un inferno indossarli,
i muscoli erano ancora intorpiditi dalla lunga immobilità, ma non avrebbe
accettato nessun altra soluzione. Le gonne non le erano mai andate a genio,
così come non aveva mai amato le rose che invece Adam adorava, e che si
intrecciavano sulla sua tomba. Penelope le trovava di una bellezza troppo
semplice, scontata, invece Adam impazziva per loro al punto di voler mettere in
salotto la riproduzione gigante di una Baltimore Belle che aveva fotografato
durante una passeggiata. Aveva scattato quella foto in primavera, appena
qualche mese prima. prima. D’ora in poi
la sua vita si sarebbe per sempre divisa tra un prima e un dopo Adam. ... Era
successo non poteva tornare indietro, doveva farsene una ragione. Nessuno era
tornato dall’altro mondo e Adam non avrebbe fatto eccezione, ma pur di
smetterla di continuare a torturarsi con quel pensiero preferì spostare l’
attenzione sulle aiuole fiorite intorno a lei; tutto era perfetto, un addio in
pieno stile Adam Spencer: romantico e decadente, impossibile da dimenticare. ...
Inverno 2009 Pile di piatti sporchi
nel lavandino e briciole sulla tovaglia dimenticata sul tavolo, la stessa delle ultime tre settimane. Penelope,
avvolta nel maglione di Adam, stava seduta a guardare il posto vuoto davanti al
suo. Avrebbe lasciato il lavoro, ormai aveva deciso. Aveva denaro a sufficienza
per un altro mese, poi chissà. Si girò verso la finestra, rivolgendo gli occhi
al sole radente che la salutava oltre il vetro. Sui tetti lo sbuffare bianco
dei comignoli sembrava scaldare il cielo grigio, mentre il gelo di un inverno
senza fine graffiava le pareti. Penelope si strinse nel maglione, sognando
Adam. ... Estate 2009 Il suv era imbottigliato nel traffico del fine
settimana. Penelope se ne stava rannicchiata di lato, il piede premuto sul
tappetino come se avesse voluto frenare ogni volta che un’auto le affiancava. Seduta
accanto a lei Addison non la smetteva di parlare. Penelope si calò il cappuccio
della felpa di Adam sulla testa e si girò di lato, intirizzita per il vento che
continuava a batterle addosso. Come al solito, Addison teneva il finestrino
abbassato per far circolare l’aria, sia che fuori ci fossero tre o trenta
gradi, ignorando l’esistenza dell’aria condizionata e delle bocchette di ventilazione.
Penelope tirò giù le maniche sino a coprirsi le mani, gli occhi incollati al
finestrino mentre Addison continuava imperterrita il suo monologo sul tempo che
guarisce ogni ferita, sul dovere di andare avanti sempre, nonostante tutto, e
lasciarsi avvolgere dagli affetti familiari. ... Detestava che Addison
decidesse per lei, detestava il modo in cui riusciva a risolvere i problemi di
tutti e a condurre la sua vita perfetta mentre lei di perfetto non aveva
niente, anzi; era svuotata dentro, e Addison lo sapeva. ... un lampione
rischiarò la notte, e le due sorelle approdarono davanti alla casa in stile
georgiano, con i mattoni rossi e le inglesine bianche, e l’impeccabile simmetria
dei camini agli estremi del tetto; il ritratto di Addison. Rigore, linearità,
purezza delle forme. “Al piano terra ci
sono la sala da pranzo, il salotto, la cucina, lo studio di Ryan e i bagni per
gli ospiti; al piano superiore le camere. La casa è circondata da un parco
secolare, un capanno per gli attrezzi e i parcheggi. Ci piacerebbe una piscina,
ma per il momento è solo un’idea” continuò Addison. Penelope raggiunse le due
colonne bianche che incorniciavano la porta a vetri circondata da intrecci di
glicine, ma non resistette alla tentazione di lanciare lo sguardo oltre. C’era
qualcosa al di là del confine delineato dalla notte stellata; un giardino
apparentemente sconfinato che respirava piano, seguendo la brezza leggera del
sud. ... Addison la invitò a entrare, ma all’improvviso Penelope ebbe freddo,
quel freddo che attanaglia le ginocchia e blocca il respiro. Fu allora, per la
prima volta in quella giornata, che si risvegliò da quel torpore durato un ano
intero. Il sangue ricominciò lento a pompare nelle vene, e le gambe a
riprendere forza. Era viva, la luce fioca oltre la finestra non doveva
spaventarla. Addison non sarebbe riuscita a soffocarla, questa volta avrebbe
lottato. ... “La famosa Penelope? Ryan
Walker” disse una voce calda e profonda. La luce proveniente da un’altra
stanza illuminò la figura di un uomo e di una sedia a rotelle. Ryan, il marito
di Addison. Suo cognato. ... Dopo l’incontro con Ryan era salita nella sua
nuova stanza, ma era rimasta sveglia per ore a chiedersi cosa dovesse
aspettarsi da quella convivenza . era sicura che Addison avesse qualcosa in
mente per lei. E Ryan, poi; conoscerlo le aveva trasmesso una strana
sensazione. ...
https://www.youtube.com/watch?v=oafopGlfVMY
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