Passion entre les rimes
Cari amici, ecco per voi una nuova
rubrica dedicata ai brani cantori di passione, che tra parole e arte ci narrerà
di quell’amore intenso che non necessariamente deve essere carnale, ma comunque
denso e potente. Questo forte sentimento, è da sempre, il tema preferito da
molti artisti e poeti, che ispirati dalla sua immagine, hanno creato opere
anche immortali, come quella del preraffaellita Dante Gabriel Rossetti,
autore del quadro di Paolo e Francesca,
raffigurati nel loro bacio, ispirato dai sublimi versi di Dante, che decide di
raccontare nella sua opera maggiore La Divina Commedia, la sventurata passione, tra due giovani
tratti in inganno dalla vita e dal destino che si è fatto beffe di loro,
coinvolgendoli in un amore impossibile che li ha travolti tanto da finire
uccisi, almeno con la consolazione di morire tra le braccia l’uno dell’altro.
La storia conosciuta grazie al grande cantore ha attirato gli sguardi di molti
studiosi che hanno cercato le tracce di questa vicenda per scoprire la
veridicità della tragedia che sembra si sia consumata nel castello di Gradara, situato nell’omonima cittadina, nelle Marche,
una volta di proprietà della famiglia Montefeltro, dove il più giovane dei
fratelli è stato l’amato di Francesca, moglie del maggiore, un vecchio
sciancato e burbero. La storia, dopo le accurate ricerche degli storici,
potrebbe essere vera, almeno secondo la maggioranza, anche se sembra essere
stata insabbiata, per mantenere le apparenze con il papato e non rovinare i
rapporti d’ interesse tra le due famiglie dei giovani, che avevano cospirato,
per poter realizzare il matrimonio che le ha unite. La forte intensità della
tragica vicenda dei due sfortunati amanti, ha ispirato artisti come J.A.D. Ingres, che dipinge questo quadro
del 1834, dal titolo “Paolo e Francesca”,
che raffigura la scena culmine della vicenda, dove i due amanti vengono
scoperti suscitando la forte gelosia di Gianciotto, che furioso li uccide senza
pietà.
Paolo e Francesca
Divina Commedia
Canto V
Poscia ch'io ebbi il mio dottore udito
nomar le donne antiche e ' cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.
I' cominciai: «Poeta, volontieri
parlerei a quei due che 'nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggeri».
Ed elli a me: «Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor li priega
per quello amor che i mena, ed ei verranno».
Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: «O anime affannate,
venite a noi parlar, s'altri nol niega!».
Quali colombe dal disio chiamate
con l'ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l'aere dal voler portate;
cotali uscir de la schiera ov'è Dido,
a noi venendo per l'aere maligno,
sì forte fu l'affettuoso grido.
«O animal grazioso e benigno
che visitando vai per l'aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
se fosse amico il re de l'universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c'hai pietà del nostro mal perverso.
Di quel che udire e che parlar vi
piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che 'l vento, come fa, ci tace.
Siede la terra dove nata fui
su la marina dove 'l Po discende
per aver pace co' seguaci sui.
Amor, ch'al cor gentil ratto
s'apprende
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.
Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte.
Quand'io intesi quell'anime offense,
china' il viso e tanto il tenni basso,
fin che 'l poeta mi disse: «Che pense?».
Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!».
Poi mi rivolsi a loro e parla' io,
e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.
Ma dimmi: al tempo d'i dolci sospiri,
a che e come concedette Amore
che conosceste i dubbiosi disiri?».
E quella a me: «Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.
Ma s'a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fiate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante».
Mentre che l'uno spirto questo disse,
l'altro piangea; sì che di pietade
io venni men così com'io morisse.
E caddi come corpo morto cade.
Illustrazione
di Gustave
Dorè
Alexander
Munro
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