martedì 18 marzo 2014

Nella città più romantica del mondo, a volte basta un caffè per farti innamorare.

Buongiorno miei carissimi lettori e viandanti sperduti.
Caffè Letterario

     Come ogni mattina, quello che non può assolutamente mancare è il nostro amato e insostituibile caffè, e per degli appassionati lettori come noi, non c’è nulla di meglio che accompagnare questo sacro rito mattutino con una bella lettura, quindi ecco che arriva la nostra amata rubrica “Caffe Letterario”, che in questo appuntamento vi propone un italianissimo libro, scritto da un barista d’eccezione, che i nostri amici romani sicuramente conoscono, perché gestisce un bar vicino alla stazione romana, che neanche a dirlo, prepara un caffè eccezionale, ideale per tutti noi poveri lottatori del mattino. Parlo di Diego Galdino e il suo libro è:  “Il primo caffè del mattino”,
Come potete immaginare il legante che unisce i protagonisti di questo  romantico romanzo è il  Caffe, e la storia lo riguarda da vicino, visto che si è ispirato a se stesso, un barista, che prepara fragranti caffè ogni mattina, per coloro che arrivano, partono e tornano. E se un giorno entra una ragazza speciale? E il povero barista rimane folgorato da un fulmine a ciel sereno? Allora eccoci tra le bellissime pagine del romanzo...
IL PRIMO CAFFÈ DEL MATTINO
DIEGO GALDINO
Massimo ha poco più di trent'anni, è il proprietario di un piccolo bar nel cuore di Roma e non si è mai innamorato davvero. In fin dei conti sta bene anche da solo, continua a ripetersi. Fino al giorno in cui una ragazza con le lentiggini, gli occhi verdi e l'aria sperduta di una turista straniera entra improvvisamente nel bar, e Massimo rimane folgorato. Il problema è che non riesce a farsi capire in nessuna lingua, e nel giro di cinque minuti lei se ne va spazientita, lasciandolo con qualcosa di molto simile a un cuore spezzato. Ma tornerà presto, perché un segreto inconfessabile la lega proprio al bar di Massimo. Che potrà così corteggiarla con le armi che conosce meglio: caffè, cappuccini e il fascino di Roma.
Dopo una presentazione, l’ideale è sedersi e stringere i rapporti, magari davanti a un ottimo caffè, quindi, accomodatevi e godetevi il vostro caffè insieme a Il primo caffè del mattino.
Prologo
Mia cara,
non posso dirti quel che sarà e non posso chiederti di capire. Posso però provare a spiegarti perché ho preso questa decisione. Ci sono momenti nei quali è necessario un  sacrificio. So che tu non mi abbandoneresti mai e proprio per questo devo andarmene, per permetterti di vivere una vita migliore. Con me non saresti mai libera, senza di me lo sarai. Lo so che ho promesso che avrei vegliato su di te ma puoi stare certa che non ti perderò di vista nemmeno per un istante.
Non ho rimpianti perché so che malgrado tutto continueremo a stare insieme e saremo ancora invincibili come il tè nero alle rose.
Non ti dico addio perché sarò sempre al tuo fianco.
M.
C’era un silenzio irreale per la quantità di gente. Ognuno misurava le parole, i gesti e persino i sospiri. Solo il muratore si muoveva rapido: un piccolo strato di malta un mattone e così via fino a comporre una fila poi con lo scalpello spezzava l’ultimo mattone per renderlo della dimensione giusta e con la cazzuola rimuoveva il materiale in eccesso. Mai muratore fu osservato tanto intensamente, quasi fosse il sacerdote dell’ultima cerimonia. In pochi minuti la bara sparì dalla vista e il loculo fu chiuso del tutto. Per la lapide definitiva bisognava aspettare ancora un po’, ma bastava quella paretina a segnare un deciso confine tra il mondo di qua e quello di là. Qual è il senso? si domandava Massimo. I soliti interrogativi di fronte alla morte, che a raccontarli sembrano banali, ma al momento giusto ti esplodono nella testa e ti proiettano in un mondo buio pesto, senza nemmeno un punto di riferimento (era per questo che Massimo di notte si teneva accesa una di quelle lucine che s’infilano nella presa, non era paura del buio, era paura di perdersi). Quelli delle pompe funebri se ne andarono, Massimo li salutò borbottando qualcosa di incomprensibile a cui loro risposero borbottando qualcosa di incomprensibile a cui loro risposero borbottando qualcosa di altrettanto incomprensibile. La piccola folla pietrificata si mise lentamente in moto. A uno a uno si avvicinavano sul viale di ghiaia. Naturalmente oltre che amici erano tutti frequentatori abituali del bar Tiberi. “Se ne vanno sempre i migliori”, fece Tonino il meccanico (caffè lungo). “Eh già, e a noi ce tocca resta’!” continuò Pino il parrucchiere (caffè in vetro). Anche Luigi il falegname (caffè corretto sambuca) aveva da dire la sua: “Il femore, mannaggia allui! Come la mia povera mamma, riposi in pace”. Via via passarono Lino (caffè al ginseng) con l’inseparabile cane Junior, Alfredo il fornaio (caffè al vetro schiumato), Gino il macellaio (caffè al vetro macchiato caldo) e Rina la fioraia (caffè al vetro con bicchiere d’acqua). Dario (caffè ristrettissimo in tazza bollente), che aiutava Massimo al bar, chiuse la processione. “Ti aspetto alla macchina”, disse, lui che con e formalità non ci sapeva troppo fare. “Sì”, gli rispose Massimo, che fino ad allora si era limitato a ricambiare le pacche ricevute “ah e di’ a tutti di venire stasera prima dell’orario di chiusura: beviamo qualcosa alla sua!”. ... Era un giorno d’estate come tanti, e la timida brezza dell’alba funzionava a difesa dall’afa e dalla calura... Successe quel mattino. Il suo arrivo fu come un fulmine a ciel sereno. Ma non si può nemmeno dire che ci sia stato il tempo di prepararsi. Diciamo che fu come una nevicata quando guardi con il naso all’insù: i fiocchi sembrano danzare indecisi sul da farsi e riempiono il cielo quasi fossero sospesi, ma in realtà ti arrivano addosso velocissimi e se non ci stai attento ti sommergono e ti entrano nel colletto. Era metà mattina; passata l’ondata di clienti che andavano a lavorare e ancora lontana la pausa pranzo, il bar Tiberi languiva pigramente con i suoi clienti fissi. ... Quel giorno Massimo se ne stava con i gomiti appoggiati al bancone e il mento fra le mani a osservare la piazza assolata oltre la vetrina. Fu allora che la notò. Era là, seduta vicino alla fontana, che beveva avidamente da un thermos. Poi Massimo la vide attraversare la piazza seguendo una linea obliqua, e tornare alla fontana come un nuotatore stravolto che trova finalmente una boa alla quale aggrapparsi per riprendere fiato... Poi la ragazza si alzò, la gonna leggera che ondeggiava lievemente, la borsa di cuoio un po’ malandata a tracolla e una valigia in mano, lo sguardo curioso e un po’ spaventato, e l’andatura incerta di chi non sa dove andare. Così, un passo dopo l’altro, la ragazza scomparve dal campo visivo di Massimo. Erano bastati quei pochi istanti perché l’immagine di quella ragazza alta e magra vestita di rosso, con i capelli chiari e mossi e la frangetta, gli si scolpisse in testa. Non che osservare i passanti, fantasticare sulle loro vite, fosse una novità, ma quella ragazza aveva qualcosa di diverso, e lui stesso si sorprese del modo in cui gli era impressa nella mente. Per questo gli venne un colpo quando, quando, improvvisamente, la vide riapparire sulla soglia del locale, come se fossero i stati i suoi pensieri ad attirarla lì. Da vicino era ancora più bella (dettaglio non banale: ci sono tante ragazze belle da lontano che poi si rivelano bruttine da vicino). Ma bella poi cosa vuol dire, pensava Massimo, ci sono tipi di bellezza diversi... lei era una di quelle da scoprire. Non una fotomodella algida e altezzosa né una sinuosa orientale né tantomeno una procace mediterranea, ma un tesoro racchiuso dietro di un paio di occhio verdi e di una manciata di lentiggini. E con quel vestitino leggero da viaggio, quasi da ragazzina, che non metteva in risalto le sue qualità, ma le lasciava immaginare.. C’era qualcosa di ulteriormente intrigante in questo, a ben vedere. Massimo lasciò il bancone per raggiungere la nuova cliente che nel frattempo, dopo aver posato per terra la valigia, si era accompagnata, se non quasi nascosta, a un tavolino isolato. “Cosa desidera?” le chiese Massimo, Maledizione, non potevo dirle qualcosa di più carino prima? tipo “buongiorno” o “benvenuta”? Invece niente, gli era uscita solo quella stupida domanda formale. Lei arrossì leggermente e rimase in silenzio, poi con la mano sinistra iniziò a giocherellare con un ciuffo di capelli a metà strada tra l’orecchio e la tempia. Sarà straniera, pensò lui, e si sforzo di tirar fuori quel poco di inglese che masticava (ma, si sa, gli italiani sono talmente bravi a farsi capire che non hanno troppo bisogno, dell’inglese). “Dunque... Can I help you? Do you want something to drink? Maybe a coffee?” Ovviamente tutto il bar si era azzittito e osservava la scena. “Désolée, non parlo bene italiano”, disse lei, con un fortissimo accento francese.
“E non sei l’unica!” fece Tonino il meccanico, che oggi evidentemente non aveva granché da fare ed era già alla terza pausa. Ci fu una risata generale e l’espressione sperduta negli occhi della ragazza mutò impercettibilmente. Si vedeva che lottava la timidezza, e il viso lentigginoso si coprì di un leggero, dolcissimo rossore. “Vous avez la carte?” domandò la francese con un filo di voce... La ragazza abbassò gli occhi e provò a esprimersi meglio: “Menù?” chiese con un tono così insicuro che Massimo dovette ricacciare indietro il sorriso idiota che, lo sentiva, stava per spuntargli sul viso... La ragazza lo guardò negli occhi con un’espressione indefinibile, per quello che sembrò a Massimo un tempo indefinito e brevissimo, poi sospirò e fece la sua ordinazione: Un thé noir de rose...”  Massimo rimase spiazzato: “Tè nero alle rose? Ehm, temo che... temo che non l’abbiamo! Dario? Tè nero alle rose?” Dario allargò le braccia e storse la bocca. Tonino non riuscì a esimersi da un altro intervento s sproposito: “Tè nero alle rose! Può essere un’idea: trasformi il bar in un ospizio e servi il tè a tutti i vecchietti del rione. Che ce stanno tanti!” “Ma de che?” intervenne Dario. “I vecchi de Trastevere col tè alle rose non ce sciacquano manco i piatti!”... Fatto sta che lei, che con tutta probabilità non aveva capito nulla dell’intero scambio, ma forse proprio per questo doveva essersi sentita quantomeno presa in giro, si voltò indietro verso la sala, e poi tornò a posare gli occhi su Massimo. Come Giulio Cesare. Proprio così lo guardò. Massimo ci avrebbe ripensato in seguito, e si sarebbe detto che sì, senza dubbio l’imperatore doveva aver avuto la stessa espressione dipinta sul volto quando riconobbe il figliastro tra i suoi assassini...
E ora cosa succederà? Come si comporterà la deliziosa francesina entrata come un fulmine a ciel sereno nel cuore del povero Massimo? E come si evolverà la loro storia visto il pericoloso temporale che ha portato questo fulmineo incontro? E chi è M.?  Scopriamo tutti questi intricanti dettagli leggendo questo romanzo che ci ricorda come nel bellissimo film “Vacanze romane”, come la nostra meravigliosa capitale può essere considerata “la città dell’amore”, e in fondo la protagonista di questo romanzo, può ricordare con la sua delicata e dolce posa l’immortale attrice Audrey Hepburn. Ma chissà se Massimo riuscirà a vestire bene i panni del celebre Gregory Peck. Chissà, magari troviamo anche la mitica "vespa”!?  Beh! a questo punto non mi resta che augurarvi...
Buona Lettura

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