Caffè Letterario.
Buongiorno!!! Appassionati
lettori.
Inizia una nuova settimana e l’incubo
del lunedì incombe sui nostri risvegli come le nuvole cariche di pioggia che
oggi riempiono il cielo dalle mie parti. E niente sembra più confortante di un
fragrante caffè, accompagnato da un libro che scaldi il cuore. Quindi, eccomi qui! Inizia il Caffè Letterario, il momento più dolce di tutta la settimana.
Questa settimana vi presento una
meravigliosa storia ideale per sciogliere tutti i cuori. Scritta dalla mano di
Mathias Malzieu, “La meccanica del cuore” saprà sciogliere il ghiaccio più
impenetrabile, ma come Jack, noi non rischiamo di rompere il nostro cuore, si perché
la levatrice Madeleine, per salvarlo dal suo cuore ghiacciato gli fa dono di un
cuore meccanico, che rischia di rompersi a ogni minimo sussulto del cuore, come
fine cristallo.
Ma cosa succederà a Jack, quando l’amore accelera il battito
del suo delicato meccanismo?
Scopriamolo insieme, sorseggiando il
nostro caldo caffè e iniziamo la settimana insieme a questa meravigliosa fiaba ambientata
nel XIX secolo, che come Edward mani di
forbici, non solo può sciogliere i nostri cuori, ma anche farci sognare la
delicatezza di un bellissimo e fragile amore.
Eccolo il grande orologiaio,
colui che con la sua musica ha dato il ritmo al cuore meccanico e progettato i piccoli
ingranaggi del delicato orologio a cucù che poi ha affidato alle cure di Madeleine. Mathias Malzieu.
Lui, si che è
un maestro del ritmo, perché oltre a essere uno scrittore, il nostro orologiaio francese è
anche un cantante e musicista e fa parte della band Dionysos. E se i cuori non riesce a farli
funzionare lui. Allora, si che siamo nei guai.
Voilà! Tais-toi mon coeur – Dionysos, la musiche, che da il ritmo al cuore meccanico di
Jack.
Ecco a voi la chiave
per caricare il cuore di questa cristallina fiaba che riscalderà il vostro
cuore insieme al vostro fumante caffè. La LETTURA.
Il 16
aprile del 1874 nevica su Edimburgo. Un freddo cane, fuori del normale,
inchioda la città. I vecchi commentano che potrebbe essere il giorno più freddo
del mondo. Il sole sembra scomparso per sempre. Il vento è sferzante, i fiocchi
di neve sono più leggeri dell’aria. BIANCO! BIANCO!BIANCO! Esplosione
sorda. Non si vede altro. Le case ricordano locomotive a vapore, il fumo
grigiastro che esala dai camini fa scintillare un cielo d’acciaio. Edimburgo e
le sue ripide strade subiscono una metamorfosi. Una dopo l’altra le fontane si
trasformano in composizioni di ghiaccio. Il vecchio fiume, in genere molto
serio nel suo ruolo di fiume, si è mascherato da lago di zucchero a velo che si
estende fino al mare. Il frastuono della risacca echeggia come vetri rotti. La
brina produce meraviglie ricoprendo di paillette il corpo dei gatti. Gli alberi
somigliano a grandi fate in camicia da notte, che distendono le braccia,
sbadigliano alla luna e guardano le carrozze slittare su una pista di
pattinaggio lastricata. È talmente freddo che gli uccelli si congelano in volo
prima di schiantarsi al suolo. Cadendo fanno un rumore incredibilmente dolce
per essere un rumore di morte. È il giorno più freddo del mondo. Proprio oggi
mi accingo a nascere. Accade in una vecchia casa in bilico sulla cima della
collina più elevata di Edimburgo – Arthur’s Seat –, un vulcano incastonato nel
quarzo blu, sulla cui vetta raccontano che riposi la salma del buon vecchio re
Artù. Il tetto della casa è altissimo e molto aguzzo. Il camino a forma di
coltello da macellaio punta alle stelle. La luna ci affila le sue falci. Non
c’è nessuno qui, solo alberi. All’interno è tutto di legno, come se la casa
fosse scolpita in un enorme abete. Sembra quasi di entrare in una capanna: una
profusione di travi scabre a vista, finestrelle recuperate dal cimitero dei
treni, un tavolo basso ricavato direttamente da un ceppo. Innumerevoli cuscini
di lana riempiti con foglie morte ricamano un’atmosfera da nido. In questa casa
avvengono molti parti clandestini. Qui vive la strana dottoressa Madeleine, una
levatrice che gli abitanti della città considerano pazza. È abbastanza graziosa
per essere una vecchia signora. La scintilla del suo sguardo è intatta, ma ha
una specie di falso contatto nel sorriso. Mette al mondo i figli delle
prostitute, delle donne abbandonate, troppo giovani o troppo infedeli per
partorire nel circuito classico. Oltre ai parti, la dottoressa Madeleine adora
riparare la gente. È una grande esperta di protesi meccaniche, occhi di vetro,
gambe di legno... Nel suo laboratorio si trova di tutto. Alla fine del
diciannovesimo secolo, tanto basta per essere sospettati di stregoneria. In
città si racconta che uccida i neonati per farne schiavi ectoplasmatici e che
si accoppi con volatili di ogni genere per dare vita a creature mostruose. Durante
il lungo travaglio, la mia giovanissima madre osserva con occhio distratto i
fiocchi di neve e gli uccelli che cadono silenziosamente oltre la finestra.
Sembra una bambina che gioca a fare la donna incinta. Quando il mio arrivo si
fa incalzante, chiude le palpebre senza contrarle. La sua pelle si confonde con
le lenzuola come se il letto l’aspirasse e lei si sciogliesse. Piangeva già
quando saliva la collina per arrivare qui. Le sue lacrime ghiacciate
rimbalzavano al suolo come perle di una collana spezzata. Man mano che
avanzava, sotto i piedi le si formava un tappeto di scintillanti cuscinetti a
sfere. Ha iniziato a scivolare e ha continuato, ancora e ancora. La cadenza dei
passi è diventata troppo rapida. È inciampata, le caviglie hanno vacillato ed è
caduta violentemente in avanti. All’interno ho fatto un rumore di salvadanaio
rotto. La dottoressa Madeleine è stata la mia prima visione. Le sue dita mi
hanno preso il cranio a forma di oliva – un pallone da rugby in miniatura –,
poi mi sono raggomitolato, tranquillo. Mia madre preferisce distogliere lo
sguardo. In ogni caso le sue palpebre non ne vogliono sapere di funzionare. “Apri gli occhi! Osserva l’arrivo di
questo fiocco di neve piccolissimo che hai creato tu!” Madeleine dice che
somiglio a un uccello bianco con i piedoni. Mia madre replica che se non mi
guarda, non lo fa per avere in cambio una descrizione. “Non voglio vedere né sapere niente!” All’improvviso la dottoressa
sembra preoccupata. Palpa senza sosta il mio minuscolo torace. Il sorriso le
scompare dal volto. “Il suo cuore è durissimo, penso che sia
ghiacciato.” “Anche il mio, cosa crede? Non mi pare il caso
di rincarare la dose.” “Ma
il suo cuore è davvero ghiacciato!” Mi scuote in alto e in basso, e si
sente lo stesso rumore di quando qualcuno fruga nella borsa degli attrezzi. La
dottoressa Madeleine si affaccenda davanti al piano da lavoro. Mia madre
aspetta, seduta sul letto. Trema e stavolta non per il freddo. Sembra una
bambola di porcellana fuggita da un negozio di giocattoli. Fuori nevica sempre
più intensamente. L’edera argentata si arrampica sotto i tetti, le rose diafane
si piegano alle finestre, come miniature sulla strada. I gatti con gli artigli
conficcati nelle grondaie si trasformano in gargolle. Nel fiume i pesci
all’improvviso sono rimasti immobilizzati in una smorfia. Tutta la città è in
mano a un soffiatore di vetro, e il freddo che spira morde le orecchie. In una
manciata di secondi, i pochi coraggiosi che osano avventurarsi fuori si trovano
paralizzati, come se un dio qualunque li avesse appena fotografati. Qualcuno,
trascinato dallo slancio del suo trotterellare, comincia a scivolare, giusto il
tempo di un ultimo balletto. Sono quasi belli, ognuno con il proprio stile,
angeli contorti con le sciarpe conficcate nel cielo; ballerine di carillon alla
fine della corsa, che rallentano al ritmo del loro ultimissimo soffio. Ovunque,
passanti ghiacciati o prossimi a esserlo si fermano pietrificati nel roseto
delle fontane. Solo gli orologi continuano a far battere il cuore della città
come se niente fosse. ...
Beh! cari lettori, cosa
succederà alla madre e alla piccola creatura? Riuscirà a far funzionare il suo
cuore? Avete una settimana per scoprirlo
e trovare la preziosa chiave, fino al prossimo Caffè Letterario.
Buona Lettura.
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