Caffè letterario
Buongiorno,
Cari amici lettori che mi seguite dal
virtuale mondo, è giunto il momento di connettersi, perché sta per avere inizio
il nostro Caffè letterario, che oggi vi farà
incontrare Odalie, una donna che vi coinvolgerà con il suo caschetto nero e il
suo fascino da soubrette dei mitici anni venti, a cui appartiene, proprio come
la protagonista del nostro libro, che si troverà a dover affrontare “Un’amicizia
pericolosa”, quindi ecco per voi uno spumeggiante caffè macchiato per
addolcire il vostro risveglio in compagnia di questo libro e della sua autrice Suzanne
Rindell, che accompagna il nostro caffè, con “Un romanzo raffinato e coinvolgente,
in cui nulla è come sembra”.
Titolo Un’amicizia
pericolosa
Autore Suzanne Rindell
Editore NORD
Collana Narrativa Nord
Traduttore Patrizia Spinato
Prezzo 17,60 ebook 12.99 €
Un libro
coinvolgente quello della nostra Suzanne, che ci riporta ai mitici anni venti,
dove la donna moderna si taglia i capelli in modo sensuale come gli splendidi abiti
che scoprono le gambe, rivelando una donna forte e sicura di sé, che fa
scomparire il pregiudizio della donna debole e fragile che sviene per un non
nulla, e questo il mondo di Odalie, che incarna l’ideale di donna che vorrebbe
essere Rose, la protagonista di questo emozionante romanzo venuto fuori dalla
mente brillante di Suzanne Rindell, che ci coinvolgerà in un’amicizia pericolosa
che insieme a Rose, potrebbe portarci alla rovina.
Ecco Suzanne
Rindell, l’angelico viso di colei che ci trascinerà con una scorrevole e
coinvolgente scrittura in una avventura senza pari, vissuta nello splendido
scenario degli anni venti, dove Rose sta per essere coinvolta in qualcosa di
più pericoloso della voglia di libertà e determinazione che mostra l’ideale
della donna moderna che veste le strepitose creazioni di Coco Chanel.
Questa aggraziata scrittrice che ha un
dottorato in Letteratura moderna americana alla Rice University, mostra le sue
qualità in questo suo primo manoscritto
che come potrete vedere già dalle prime pagine saprà coinvolgere il lettore in
una storia ricca di colpi di scena che vengono esaltati dal suggestivo scenario
che ci fa rivivere le feste, i colori di
quel periodo che hanno fatto da scenario a Charlie Chaplin, Coco Chanel che
come Il grande Gatsby, è ambientato
nella mitica New York, che a quel tempo a fatto trepidare il mondo con il
mitico scenario di Broadway.
Ora è giunto il momento di lasciar perdere i
convenevoli e profondare gli occhi su questo assaggio da gustare con il nostro
caffè.
Dicevano che la
macchina da scrivere avrebbe annullato le donne. Basta dare un’occhiata all’aggeggio
in questione per capire come fossero arrivati a una simile conclusione (mi
riferisco ai sedicenti custodi della virtù e della moralità femminile, per intenderci).
Una comuna macchina per scriver, che sia una Underwood, una Royal, una
Remington o una Corona, è un oggetto rigido, austero, che va dritto al punto
con la sua forma squadrata, infinitamente lontano dalle sinuose frivolezze e
dalla volubilità così tipicamente femminili. Senza contare la violenza dei suoi
martelletti, la forza spietata con cui infieriscono sulla carta. Spietata. No, di sicuro la pietà non è
una caratteristica della macchina per scrivere. Del resto, non posso nemmeno
dire di essere un’esperta in materia di pietà, visto che il mio lavoro riguarda
più che altro l’estremo opposto. Mi riferisco alle confessioni. No, non mi
occupo di mettere sotto torchio i criminali. Quello è compito del sergente. O del
tenente. Non certo il mio. Il mio è un lavoro silenzioso. Almeno lo è se si
esclude la raffica di colpi prodotti dalla macchina da scrivere che ho davanti,
quando trascrivo il contenuto dei rotoli in stenotipia. Un frastuono di cui, in
ogni caso, non sono minimamente responsabile, visto che sono solo una donna, cosa
di cui il sergente sembra rendersi conto giusto nel momento in cui usciamo
dalla stanza degli interrogatori, quando mi sfiora una spalla e dice, con tono
grave e solenne: “Rose, mi dispiace
davvero che una signora come lei sia costretta a sentire certe cose”,
riferendosi ai dettagli dello stupro, del furto o di quale che sia il delitto
appena confessato. E il catalogo dei crimini di cui sentiamo il resoconto, qui
nei nostri uffici del Lower East Side di Manhattan, non fa certo venir voglia
di approfondire l’argomento. Quando il sergente di “signora”, si sta
dimostrando oltremodo cortese. In questo 1924 che ormai volge al termine, la
definizione della sottoscritta oscilla infatti tra “signora” e “donna”. La differenza,
com’è ovvio, la fanno in parte il livello d’istruzione – cosa di cui posso
modestamente vantarmi, avendo frequentato l’Astoria Stenographers College for
Ladies -, in parte le origini e il denaro, requisiti che, in quanto orfana e
con paga di quindici dollari a settimana, non posso certo sfoggiare. Senza dimenticare,
certo, la questione del lavoro in senso stretto. Si dà per assodato che una signora possa avere degli “impegni”, ma
assolutamente non un “lavoro” e, dal momento che preferisco avere un tetto sulla
testa e un piatto caldo ogni giorno, piuttosto che rinunciarci, sono costretta
a tenermi stretto il secondo. Ed è proprio questo che intendevano, quando
dicevano che la macchina per scrivere ci avrebbe annullato come donne; nel
senso che ci avrebbe trascinato fuori dalle nostre case, catapultandoci non in
una fabbrica di abbigliamento o in una lavanderia, ma in un commissariato o in
un’azienda contabile, territori che un tempo erano battuti in esclusiva dal
popolo maschile. A sentir loro, ci saremmo slacciate il grembiule per infilarci
dentro camicie inamidate e scialbe gonne blu, che di sicuro ci avrebbero rese
sterili; il fatto poi di ritrovarci perennemente circondate da tutti quegli
aggeggi tecnologici – macchine per stenotipia, ciclostili, calcolatrici, tubi
per la posta pneumatica – ci avrebbe fatto inevitabilmente irrigidire, mentre il nostro tenero cuore
femminile si sarebbe indurito, bramoso d’imitare quel mare di ferro, ottone e
acciaio. … il mio lavoro… sia una delle mansioni più civilizzate offerte al giorno
d’oggi. Un lavoro che peraltro non fa insorgere complicazioni di sorta, dal
momento che una brava dattilografa sa stare al proprio posto ed è più che felice, essendo
una donna, di ricevere un salario adeguato. In ogni caso, se fosse davvero un’attività
idonea agli uomini, ci sarebbero molti più dattilografi maschi e, inutile a
dirsi, non se ne vedono affatto. … il tenente e il sergente sono molto diversi
tra loro, ma sembravano aver siglato da tempo immemore una qualche specie di
scomodo accordo. Ho sempre avuto la netta sensazione che sia meglio evitare
prendere le parti dell’uno o dell’altro, per non compromettere il precario
equilibrio indispensabile alla loro collaborazione, ma in tutta sincerità devo
confessare che mi sento più a mio agio col sergente. … Una delle ragioni per
cui preferisco lavorare con il sergente è che il tenete segue quasi sempre casi
di omicidio, di conseguenza, la maggior parte delle volte in cui lo accompagno
nella stanza degli interrogatori è per verbalizzare alla macchina da stenotipia
la confessione di un sospetto assassino. … Tutto procedeva con la solita
armonia, fino all’arrivo dell’altra dattilografa. Intuii che qualcosa stava per
succedere nell’attimo esatto in cui varcò la soglia, il giorno del colloquio. Entrò
a passi lenti, con estrema calma, ma io capii subito di avere davanti l’occhio
del ciclone. Quella donna era il cupo epicentro di un evento che ancora ci era
oscuro, il rovinoso luogo in cui caldo e freddo si fondono. In quell’istante
capii che tutto, attorno a lei, sarebbe cambiato. Temo però che riferirmi a lei
come "all'altra dattilografa", sia fuorviante, dal momento che ce
n’erano sempre state "altre". …
Adesso non ci
resta che scoprire cosa ha Odalie di così diverso dalle altre e quale ciclone
potrà mai portare questa dattilografa e soprattutto cosa succederà a Rose? Scopriamolo
leggendo questo emozionante romanzo edito dalla NORD Editore.
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