Ecco è giunto!
Il magico momento dove la
realtà e la fantasia si confondono come voci echeggiate attraverso le onde
dove toni soavi e suadenti riecheggiano
nelle orecchie di vecchi cantori che con i loro strumenti fatti di semplicità,
diffondono le parole sussurrate da queste melodiose voci che possiedono l’incanto
delle bellissime sirene che confondono le memorie trasportando i poveri
naufraghi in un mondo incantato dove nulla e come sembra e ci che sembra è… chiamandolo
con il nome di leggenda.
La vicenda di cui leggeremo e ascolteremo la
voce, ci trasporta tra i flutti del mare che bagnano le coste a sud dell’Italia,
dove già dal XII sec. molte sono le voci che confondono le menti dei poveri abitanti del luogo e
un grande cantore chiamato Italo Calvino, ne ha ascoltata una e ora ci narra la
mitica leggenda di un ragazzo che si chiamava Cola di Messina e pesce
perché amava nuotare così tanto che è stato maledetto.
La leggenda di Cola
Pesce
dipinta da Renato Guttuso
nel Teatro Vittorio Emanuele di
Messina.
Una volta a Messina c’era
una madre che aveva un figlio a nome Cola, che se ne stava a bagno nel mare
mattina e sera. La madre a chiamarlo dalla riva: - Cola! Cola! Vieni a terra, che fai? Non sei
mica un pesce? E lui, a nuotare
sempre più lontano. Alla povera madre veniva il torcibudella, a furia di
gridare. Un giorno, la fece gridare tanto che la poveretta, quando non ne poté
più di gridare, gli mandò una maledizione:
- Cola! Che tu possa diventare un
pesce! Si vede che quel giorno le porte del Cielo
erano aperte, e la maledizione della madre andò a segno: in un momento, Cola
diventò mezzo uomo mezzo pesce, con le dita palmate come un’anatra e la gola da
rana. In terra Cola non ci tornò più e la madre se ne disperò tanto che dopo
poco tempo morì. La voce che nel mare di Messina c’era uno mezzo uomo e mezzo
pesce arrivò fino al Re; e il Re ordinò a tutti i marinai che chi vedeva Cola
Pesce gli dicesse che il Re gli voleva parlare.
Un giorno, un marinaio, andando in barca al largo, se lo vide passare
vicino nuotando. - Cola!
– gli disse. – C’è
il Re di Messina che ti vuole parlare! E Cola Pesce subito nuotò verso il
palazzo del Re. Il Re, al vederlo, gli
fece buon viso. - Cola Pesce, – gli disse, – tu che sei così bravo nuotatore, dovresti
fare un giro tutt’intorno alla Sicilia, e sapermi dire dov’è il mare più fondo
e cosa ci si vede! Cola Pesce ubbidì
e si mise a nuotare tutt’intorno alla Sicilia.
Dopo un poco di tempo fu di ritorno. Raccontò che in fondo al mare aveva
visto montagne, valli, caverne e pesci di tutte le specie, ma aveva avuto paura
solo passando dal Faro, perché lì non era riuscito a trovare il fondo. - E allora Messina su cos’è fabbricata?
– chiese il Re. – Devi
scendere giù a vedere dove poggia. Cola si tuffò e stette sott’acqua un
giorno intero. Poi ritornò a galla e
disse al Re: - Messina è fabbricata su uno scoglio, e questo scoglio poggia su tre
colonne: una sana, una scheggiata e una rotta.
O Messina, Messina,
Un dì sarai meschina!
Il Re restò assai stupito, e volle portarsi Cola Pesce a Napoli per
vedere il fondo dei vulcani. Cola scese giù e poi raccontò che aveva trovato
prima l’acqua fredda, poi l’acqua calda e in certi punti c’erano anche sorgenti
d’acqua dolce. Il Re non ci voleva credere e allora Cola si fece dare due
bottiglie e gliene andò a riempire una d’acqua calda e una d’acqua dolce. Ma il
Re aveva quel pensiero che non gli dava pace, che al Capo del Faro il mare era
senza fondo. Riportò Cola Pesce a Messina e gli disse: - Cola, devi dirmi quant’è profondo il mare qui al Faro, più o meno. Cola calò giù e ci stette due giorni, e
quando tornò sù disse che il fondo non l’aveva visto, perché c’era una colonna
di fumo che usciva da sotto uno scoglio e intorbidava l’acqua. Il Re, che non
ne poteva più dalla curiosità, disse: - Gettati
dalla cima della Torre del Faro. La Torre era proprio sulla punta del capo
e nei tempi andati ci stava uno di guardia, e quando c’era la corrente che
tirava suonava una tromba e issava una bandiera per avvisare i bastimenti che
passassero al largo. Cola Pesce si tuffò da lassù in cima. Il Re ne aspettò
due, ne aspettò tre, ma Cola non si rivedeva. Finalmente venne fuori, ma era
pallido. - Che c’è, Cola? – chiese il
Re. - C’è che sono morto di spavento,
- disse Cola. - Ho visto un pesce, che solo nella bocca poteva entrarci intero un
bastimento! Per non farmi inghiottire m son dovuto nascondere dietro una delle
tre colonne che reggono Messina! Il Re stette a sentire a bocca aperta; ma
quella maledetta curiosità di sapere quant’era profondo il Faro non gli era
passata. E Cola: - No, Maestà, non mi tuffo più, ho paura. Visto che non riusciva a
convincerlo, il re si levò la corona dal capo, tutta piena di pietre preziose,
che abbagliavano lo sguardo, e la buttò in mare. - Va'
a prenderla, Cola! - Cos’avete fatto, Maestà? La corona del
Regno! - Una corona che non ce n’è altra al mondo, - disse il Re. – Cola, devi andarla a prendere! - Se voi così volete, Maestà, – disse Cola - scenderò. Ma il cuore mi dice che non tornerò più su. Datemi una manciata di lenticchie. Se
scampo, tornerò su io; ma se vedete venire a galla le lenticchie, è segno che
io non torno più. Gli diedero le lenticchie, e Cola scese in mare. Aspetta,
aspetta; dopo tanto aspettare, vennero a galla le lenticchie.
Cola Pesce s’aspetta che ancora torni.
La leggenda di Cola Pesce, (Palermo) tratta dal libro
Fiabe italiane di Italo Calvino
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