lunedì 20 gennaio 2014

Uno, non toccare le lancette. Due, domina la rabbia. Tre, non innamorarti, mai e poi mai. Altrimenti, nell’orologio del tuo cuore, la grande lancetta delle ore ti trafiggerà per sempre la pelle, le tue ossa si frantumeranno, e la meccanica del cuore andrà di nuovo in pezzi.

Caffè Letterario.                                 
Buongiorno!!! Appassionati lettori.

Inizia una nuova settimana e l’incubo del lunedì incombe sui nostri risvegli come le nuvole cariche di pioggia che oggi riempiono il cielo dalle mie parti. E niente sembra più confortante di un fragrante caffè, accompagnato da un libro che scaldi il cuore. Quindi, eccomi qui! Inizia il Caffè Letterario, il momento più dolce di tutta la settimana.

Questa settimana vi presento una meravigliosa storia ideale per sciogliere tutti i cuori. Scritta dalla mano di Mathias Malzieu, “La meccanica del cuore” saprà sciogliere il ghiaccio più impenetrabile, ma come Jack, noi non rischiamo di rompere il nostro cuore, si perché la levatrice Madeleine, per salvarlo dal suo cuore ghiacciato gli fa dono di un cuore meccanico, che rischia di rompersi a ogni minimo sussulto del cuore, come fine cristallo. 
Ma cosa succederà a Jack, quando l’amore accelera il battito del suo delicato meccanismo? 
Scopriamolo insieme, sorseggiando il nostro caldo caffè e iniziamo la settimana insieme a questa meravigliosa fiaba ambientata nel XIX secolo, che come Edward mani di forbici, non solo può sciogliere i nostri cuori, ma anche farci sognare la delicatezza di un bellissimo e fragile amore.

Eccolo il grande orologiaio, colui che con la sua musica ha dato il ritmo al cuore meccanico e progettato i piccoli ingranaggi del delicato orologio a cucù che poi ha affidato alle cure  di Madeleine. Mathias Malzieu.
Lui, si che è un maestro del ritmo, perché oltre a essere uno scrittore, il nostro orologiaio francese è anche un cantante e musicista e fa parte della band Dionysos. E se i cuori non riesce a farli funzionare lui. Allora, si che siamo nei guai. 
Voilà! Tais-toi mon coeur Dionysos, la musiche, che da il ritmo al cuore meccanico di Jack.
Ecco a voi la chiave per caricare il cuore di questa cristallina fiaba che riscalderà il vostro cuore insieme al vostro fumante caffè. La LETTURA.
Il 16 aprile del 1874 nevica su Edimburgo. Un freddo cane, fuori del normale, inchioda la città. I vecchi commentano che potrebbe essere il giorno più freddo del mondo. Il sole sembra scomparso per sempre. Il vento è sferzante, i fiocchi di neve sono più leggeri dell’aria. BIANCO! BIANCO!BIANCO! Esplosione sorda. Non si vede altro. Le case ricordano locomotive a vapore, il fumo grigiastro che esala dai camini fa scintillare un cielo d’acciaio. Edimburgo e le sue ripide strade subiscono una metamorfosi. Una dopo l’altra le fontane si trasformano in composizioni di ghiaccio. Il vecchio fiume, in genere molto serio nel suo ruolo di fiume, si è mascherato da lago di zucchero a velo che si estende fino al mare. Il frastuono della risacca echeggia come vetri rotti. La brina produce meraviglie ricoprendo di paillette il corpo dei gatti. Gli alberi somigliano a grandi fate in camicia da notte, che distendono le braccia, sbadigliano alla luna e guardano le carrozze slittare su una pista di pattinaggio lastricata. È talmente freddo che gli uccelli si congelano in volo prima di schiantarsi al suolo. Cadendo fanno un rumore incredibilmente dolce per essere un rumore di morte. È il giorno più freddo del mondo. Proprio oggi mi accingo a nascere. Accade in una vecchia casa in bilico sulla cima della collina più elevata di Edimburgo – Arthur’s Seat –, un vulcano incastonato nel quarzo blu, sulla cui vetta raccontano che riposi la salma del buon vecchio re Artù. Il tetto della casa è altissimo e molto aguzzo. Il camino a forma di coltello da macellaio punta alle stelle. La luna ci affila le sue falci. Non c’è nessuno qui, solo alberi. All’interno è tutto di legno, come se la casa fosse scolpita in un enorme abete. Sembra quasi di entrare in una capanna: una profusione di travi scabre a vista, finestrelle recuperate dal cimitero dei treni, un tavolo basso ricavato direttamente da un ceppo. Innumerevoli cuscini di lana riempiti con foglie morte ricamano un’atmosfera da nido. In questa casa avvengono molti parti clandestini. Qui vive la strana dottoressa Madeleine, una levatrice che gli abitanti della città considerano pazza. È abbastanza graziosa per essere una vecchia signora. La scintilla del suo sguardo è intatta, ma ha una specie di falso contatto nel sorriso. Mette al mondo i figli delle prostitute, delle donne abbandonate, troppo giovani o troppo infedeli per partorire nel circuito classico. Oltre ai parti, la dottoressa Madeleine adora riparare la gente. È una grande esperta di protesi meccaniche, occhi di vetro, gambe di legno... Nel suo laboratorio si trova di tutto. Alla fine del diciannovesimo secolo, tanto basta per essere sospettati di stregoneria. In città si racconta che uccida i neonati per farne schiavi ectoplasmatici e che si accoppi con volatili di ogni genere per dare vita a creature mostruose. Durante il lungo travaglio, la mia giovanissima madre osserva con occhio distratto i fiocchi di neve e gli uccelli che cadono silenziosamente oltre la finestra. Sembra una bambina che gioca a fare la donna incinta. Quando il mio arrivo si fa incalzante, chiude le palpebre senza contrarle. La sua pelle si confonde con le lenzuola come se il letto l’aspirasse e lei si sciogliesse. Piangeva già quando saliva la collina per arrivare qui. Le sue lacrime ghiacciate rimbalzavano al suolo come perle di una collana spezzata. Man mano che avanzava, sotto i piedi le si formava un tappeto di scintillanti cuscinetti a sfere. Ha iniziato a scivolare e ha continuato, ancora e ancora. La cadenza dei passi è diventata troppo rapida. È inciampata, le caviglie hanno vacillato ed è caduta violentemente in avanti. All’interno ho fatto un rumore di salvadanaio rotto. La dottoressa Madeleine è stata la mia prima visione. Le sue dita mi hanno preso il cranio a forma di oliva – un pallone da rugby in miniatura –, poi mi sono raggomitolato, tranquillo. Mia madre preferisce distogliere lo sguardo. In ogni caso le sue palpebre non ne vogliono sapere di funzionare. “Apri gli occhi! Osserva l’arrivo di questo fiocco di neve piccolissimo che hai creato tu!” Madeleine dice che somiglio a un uccello bianco con i piedoni. Mia madre replica che se non mi guarda, non lo fa per avere in cambio una descrizione. “Non voglio vedere né sapere niente!” All’improvviso la dottoressa sembra preoccupata. Palpa senza sosta il mio minuscolo torace. Il sorriso le scompare dal volto.  “Il suo cuore è durissimo, penso che sia ghiacciato.”   “Anche il mio, cosa crede? Non mi pare il caso di rincarare la dose.”   “Ma il suo cuore è davvero ghiacciato!” Mi scuote in alto e in basso, e si sente lo stesso rumore di quando qualcuno fruga nella borsa degli attrezzi. La dottoressa Madeleine si affaccenda davanti al piano da lavoro. Mia madre aspetta, seduta sul letto. Trema e stavolta non per il freddo. Sembra una bambola di porcellana fuggita da un negozio di giocattoli. Fuori nevica sempre più intensamente. L’edera argentata si arrampica sotto i tetti, le rose diafane si piegano alle finestre, come miniature sulla strada. I gatti con gli artigli conficcati nelle grondaie si trasformano in gargolle. Nel fiume i pesci all’improvviso sono rimasti immobilizzati in una smorfia. Tutta la città è in mano a un soffiatore di vetro, e il freddo che spira morde le orecchie. In una manciata di secondi, i pochi coraggiosi che osano avventurarsi fuori si trovano paralizzati, come se un dio qualunque li avesse appena fotografati. Qualcuno, trascinato dallo slancio del suo trotterellare, comincia a scivolare, giusto il tempo di un ultimo balletto. Sono quasi belli, ognuno con il proprio stile, angeli contorti con le sciarpe conficcate nel cielo; ballerine di carillon alla fine della corsa, che rallentano al ritmo del loro ultimissimo soffio. Ovunque, passanti ghiacciati o prossimi a esserlo si fermano pietrificati nel roseto delle fontane. Solo gli orologi continuano a far battere il cuore della città come se niente fosse. ... 
Beh! cari lettori, cosa succederà alla madre e alla piccola creatura? Riuscirà a far funzionare il suo cuore?  Avete una settimana per scoprirlo e trovare la preziosa chiave, fino al prossimo Caffè Letterario.
                                         Buona Lettura.

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