mercoledì 11 settembre 2013

La vita sa confondere le sue tracce, e tutto del passato, può diventare materia di sogno, argomento di leggenda. Giorgio Bassani, Cinque storie ferraresi

Ecco è giunto!
Il magico momento dove la realtà e la fantasia si confondono come voci echeggiate attraverso le onde dove  toni soavi e suadenti riecheggiano nelle orecchie di vecchi cantori che con i loro strumenti fatti di semplicità, diffondono le parole sussurrate da queste melodiose voci che possiedono l’incanto delle bellissime sirene che confondono le memorie trasportando i poveri naufraghi in un mondo incantato dove nulla e come sembra e ci che sembra è… chiamandolo con il nome di leggenda.

 La vicenda di cui leggeremo e ascolteremo la voce, ci trasporta tra i flutti del mare che bagnano le coste a sud dell’Italia, dove già dal XII sec. molte sono le voci che confondono le menti dei poveri abitanti del luogo e un grande cantore chiamato Italo Calvino, ne ha ascoltata una e ora ci narra la mitica leggenda di un ragazzo che si chiamava Cola di Messina e pesce perché amava nuotare così tanto che è stato maledetto.
La leggenda di Cola Pesce
dipinta da Renato Guttuso nel Teatro Vittorio Emanuele di Messina.
 Una volta a Messina c’era una madre che aveva un figlio a nome Cola, che se ne stava a bagno nel mare mattina e sera. La madre a chiamarlo dalla riva:   - Cola! Cola! Vieni a terra, che fai? Non sei mica un pesce?  E lui, a nuotare sempre più lontano. Alla povera madre veniva il torcibudella, a furia di gridare. Un giorno, la fece gridare tanto che la poveretta, quando non ne poté più di gridare, gli mandò una maledizione:  - Cola! Che tu possa diventare un pesce!   Si vede che quel giorno le porte del Cielo erano aperte, e la maledizione della madre andò a segno: in un momento, Cola diventò mezzo uomo mezzo pesce, con le dita palmate come un’anatra e la gola da rana. In terra Cola non ci tornò più e la madre se ne disperò tanto che dopo poco tempo morì. La voce che nel mare di Messina c’era uno mezzo uomo e mezzo pesce arrivò fino al Re; e il Re ordinò a tutti i marinai che chi vedeva Cola Pesce gli dicesse che il Re gli voleva parlare.  Un giorno, un marinaio, andando in barca al largo, se lo vide passare vicino nuotando.   - Cola! –   gli disse.  – C’è il Re di Messina che ti vuole parlare! E Cola Pesce subito nuotò verso il palazzo del Re.  Il Re, al vederlo, gli fece buon viso.  - Cola Pesce,  – gli disse, – tu che sei così bravo nuotatore, dovresti fare un giro tutt’intorno alla Sicilia, e sapermi dire dov’è il mare più fondo e cosa ci si vede!  Cola Pesce ubbidì e si mise a nuotare tutt’intorno alla Sicilia.  Dopo un poco di tempo fu di ritorno. Raccontò che in fondo al mare aveva visto montagne, valli, caverne e pesci di tutte le specie, ma aveva avuto paura solo passando dal Faro, perché lì non era riuscito a trovare il fondo. - E allora Messina su cos’è fabbricata? –   chiese il Re.  – Devi scendere giù a vedere dove poggia. Cola si tuffò e stette sott’acqua un giorno intero. Poi ritornò   a galla e disse al Re:  - Messina è fabbricata su uno scoglio, e questo scoglio poggia su tre colonne: una sana, una scheggiata e una rotta.
O Messina, Messina,
 Un dì sarai meschina!  
Il Re restò assai stupito, e volle portarsi Cola Pesce a Napoli per vedere il fondo dei vulcani. Cola scese giù e poi raccontò che aveva trovato prima l’acqua fredda, poi l’acqua calda e in certi punti c’erano anche sorgenti d’acqua dolce. Il Re non ci voleva credere e allora Cola si fece dare due bottiglie e gliene andò a riempire una d’acqua calda e una d’acqua dolce. Ma il Re aveva quel pensiero che non gli dava pace, che al Capo del Faro il mare era senza fondo. Riportò Cola Pesce a Messina e gli disse: - Cola, devi dirmi quant’è profondo il mare qui al Faro, più o meno.   Cola calò giù e ci stette due giorni, e quando tornò sù disse che il fondo non l’aveva visto, perché c’era una colonna di fumo che usciva da sotto uno scoglio e intorbidava l’acqua. Il Re, che non ne poteva più dalla curiosità, disse: - Gettati dalla cima della Torre del Faro. La Torre era proprio sulla punta del capo e nei tempi andati ci stava uno di guardia, e quando c’era la corrente che tirava suonava una tromba e issava una bandiera per avvisare i bastimenti che passassero al largo. Cola Pesce si tuffò da lassù in cima. Il Re ne aspettò due, ne aspettò tre, ma Cola non si rivedeva. Finalmente venne fuori, ma era pallido.   - Che c’è, Cola? –   chiese il Re. - C’è che sono morto di spavento, - disse Cola.  - Ho visto un pesce, che solo nella bocca poteva entrarci intero un bastimento! Per non farmi inghiottire m son dovuto nascondere dietro una delle tre colonne che reggono Messina! Il Re stette a sentire a bocca aperta; ma quella maledetta curiosità di sapere quant’era profondo il Faro non gli era passata. E Cola:  - No, Maestà, non mi tuffo più, ho paura. Visto che non riusciva a convincerlo, il re si levò la corona dal capo, tutta piena di pietre preziose, che abbagliavano lo sguardo, e la buttò in mare.   - Va' a prenderla, Cola!  - Cos’avete fatto, Maestà? La corona del Regno! - Una corona che non ce n’è altra al mondo, - disse il Re. – Cola, devi andarla a prendere!  - Se voi così volete, Maestà,   – disse Cola - scenderò. Ma il cuore mi dice che non tornerò più su. Datemi una manciata di lenticchie. Se scampo, tornerò su io; ma se vedete venire a galla le lenticchie, è segno che io non torno più. Gli diedero le lenticchie, e Cola scese in mare. Aspetta, aspetta; dopo tanto aspettare, vennero a galla le lenticchie.
 Cola Pesce s’aspetta che ancora torni.
   La leggenda di Cola Pesce, (Palermo)  tratta dal libro Fiabe italiane di Italo Calvino 

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