lunedì 23 settembre 2013

L’ appassionante storia di una grande famiglia, tra amori, luci e ombre, gioie e dolori, successi e fallimenti, nella cornice di un ambiente tanto insolito quanto affascinante e poco conosciuto: quello del corallo, il pregiato e misterioso materiale che nasce dal mare.

Good Morning amici di lettura,
         il caffè è servito, insieme alle pagine dell’ultimo libro di una delle scrittrici più apprezzate della narrativa Sveva Casati Modigliani, che con Palazzo Sogliano, ci accompagnerà durante il risveglio con la storia di Orsola e Edoardo, un’amore intenso nato al primo sguardo, ma che nasconde un segreto che Orsola scopre con sgomento la sera che il suo adorato marito muore. La storia di una famiglia, di un amore sincero velato da un inconfessabile segreto, gli ingredienti giusti per addolcire e energizzare il nostro caffè insieme alla nostra giornata.
Un libro adatto al lunedì?

Lascio a voi il giudizio, sorseggiando insieme al vostro caffè le pagine di Palazzo Sogliano, che saprà trovare le parole giuste per intrattenervi e dare una marcia in più a questa prima settimana d'autunno.
 SAVERIO bussò più volte alla porta senza avere risposta. Allora schiuse il battente ed entrò nella stanza immersa nella penombra. La luce del mattino filtrava dalle persiane e una lama di sole rischiarava la camera matrimoniale. Il soffice tappeto francese su cui il giovane camminò gli consentì di accostarsi al letto della madre senza far rumore. La donna dormiva profondamente. Saverio si chinò su di lei e sussurrò: “Mamma”. Orsola increspò per un attimo le labbra ma non reagì. “Mamma”, ripeté con voce più decisa. Lei apri gli occhi. Suo figlio le accarezzo la fronte e le sedette accanto sul bordo del letto. Orsola avrebbe voluto riacciuffare il sonno e mettere una barriera tra sé e la realtà. “Mammina, devi alzarti. Sono già iniziate le visite”, la sollecitò con voce suadente. “Non mi importa. Voglio essere lasciata in pace”, farfugliò Orsola. “Stai di nuovo male? Devo chiamare richiamare il dottore?” si preoccupò lui perché la sera prima Orsola era svenuta. Sergio De Santis, d vent’anni il medico di famiglia, chiamato d’urgenza, le aveva misurato la pressione del sangue e somministrato immediatamente un farmaco per abbassarla, scongiurando così rischi più seri. Poi, le aveva praticato un’iniezione che l’aveva spedita nel mondo dei sogni, mentre le diceva: “La morte di tuo marito non ha colpito soltanto te, ma tutta la famiglia. Sei sempre stata una donna forte, fatti coraggio perché tutti hanno bisogno dl tuo aiuto”. Se n’era andato raccomandando di lasciarla riposare il più a lungo possibile. Adesso Orsola avrebbe continuato a dormire se il figlio maggiore non l’avesse svegliata riportandola a una realtà che era molto simile a un incubo. “Starò malissimo, se non te ne vai”, disse ora con tono lamentoso. Saverio emise un sospiro rassegnato, si alzò e concluse: “Va bene. Mi inventerò qualcosa”. La baciò su una guancia e uscì dalla camera. Orsola si sentì invadere da un’ondata di angoscia che le serrò la gola. Non avrebbe riservato, in rapida successione, due prove tanto difficili e dolorose: la prima, la perdita improvvisa del marito, morto in un incidente d’auto e, subito dopo, la scoperta casuale di un segreto inquietante. Pensò alla folla di parenti e amici che l’aspettavano al piano di sotto. Non poteva affrontare abbracci, le strette di mano, le parole di conforto, gli sguardi carichi di pena, perché la sua pena andava oltre il lutto che l’aveva colpita. Poco dopo la porta della camera tornò a schiudersi e sulla soglia si profilò la figura esile di Margherita, sua suocera. “Posso entrare?” domandò con un filo di voce. Orsola accese la lampada sul comodino, si sollevò a sedere sul letto e rispose: “Venite, mammà, sedetevi accanto a me”. “Come stai figliola?” domandò l’anziana signora. Margherita Sogliano era la suocera che ogni donna vorrebbe avere. Dolce, generosa, collaborativa, mai invadente, aveva fatto in modo che Orsola, entrando in casa Sogliano, si sentisse subito a proprio agio. Aveva capito che non era semplice, per una ventenne che veniva dal nord, figlia di un ciabattino, adeguarsi agli usi della famiglia e della gente di Torre del Greco. La suocera, più di Edoardo, l’aveva tenuta per mano guidando i suoi passi nel mondo affascinante dei corallari. I Sogliano erano ricchi, la loro fortuna risaliva ai primi decennio dell’Ottocento. Non appartenevano all’aristocrazia di sangue, ma a quella del corallo. Infatti il mercato mondiale del prezioso materiale rosso pescato dal mare era nelle loro mani e in quelle di poche altre famiglie che da duecento anni vivevano e lavoravano nella piccola città abbarbicata alle pendici del Vesuvio. Erano armatori, pescatori, procacciatori d’affari, artigiani dotati di fantasia e straordinario talento artistico e si definivano semplicemente corallari. Risiedevano in grandi ville e antichi palazzi che erano anche sede delle loro aziende. Oltre le stanze, i saloni di rappresentanza, i salotti, c’erano i magazzini, i laboratori, gli uffici animati dall’alba al tramonto da un incessante brusio di voci, dal rumore dei macchinari, dai pianti e dalle risate dei bambini, dalle canzoni d’amore cantate dalle operaie. E quando padroni e operai consumavano il pranzo, si intrecciavano confidenze appena sussurrate e l’aroma del caffè sovrastava l’odore intenso di salsedine del corallo che non svaniva neppure dopo che i rami erano stati lavati e rilavati, sgrossati, tagliati e lucidati. Il corallo racchiude in sé il fascino del mare e il mistero di una natura in bilico tra il regno minerale, vegetale e animale. ... Ora, a Margherita che le chiedeva come stesse, rispose: “Piuttosto dovrei essere io a chiedervi come state”. Orsola prese la sua mano e la tenne stretta. “Dio dà, Dio toglie”, sussurrò la suocera, con un sospiro carico di tristezza. Orsola avrebbe voluto replicare che lei aveva una pena in più, ma non voleva aggiungere al dolore di quella madre un altro dispiacere. “Tra poco lo riporteranno a casa e, fino a domani, sarà ancora nostro”, proseguì Margherita. E soggiunse: “Ora dovresti alzarti e affrontare la situazione. Ti farà bene, perché il dolore ha bisogno di coralità per diventare sopportabile”.  Orsola osservò quel viso segnato dagli anni, gli occhi chiari velati di lacrime, le labbra sottili piegate dalla sofferenza e, di slancio, l’abbracciò. Si strinse a lei e le confidò: “Non riesco ad affrontare gli amici e i parenti, ho bisogno di stare ancora da sola”. “Tuo marito non c’è più, avrai tanto tempo per la solitudine”, disse Margherita sciogliendosi dalle braccia della nuora. “Adesso dovrai fare la tua parte in famiglia e nella nostra comunità. Sei la signora Sogliano, ricordalo”, la esortò con dolcezza. Orsola pensò che proprio perché era la signora Sogliano non poteva presentarsi agli ospiti poiché era troppo sconcertata e turbata da quello che aveva scoperto la sera in cui suo marito era morto. “Vestiti e scendi”, le ingiunse Margherita sul punto di uscire dalla camera. Rimasta sola, Orsola si alzò e si infilò nella stanza da bagno. La luce intensa del giorno irrompeva dalla portafinestra che dava sul giardino e per un attimo, l’accecò. Si chinò sul lavabo, apri il rubinetto dell’acqua fredda e si sciacquò il viso. Poi si asciugò, si sfilò la camicia da notte ed entrò nella cabina della doccia, lasciò che i getti caldi dell’acqua le sferzassero il capo mentre ripensava a quanto era accaduto la sera precedente...

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